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giovedì 20 gennaio 2011

La gomma a terra e Sierra de las Quijadas

Oggi ho bucato una ruota. Mi è andata benissimo: invece di succedermi mentre stavo sull’autostrada, magari ad alta velocità (statisticamente, quando fai 12mila km, una foratura ci sta), mi è successo mentre stavo in albergo a dormire, a Uspallata, sulle Ande. Mi sono alzato e sono andato subito a fare benzina. Il benzinaio mi ha detto: guarda che hai una gomma a terra. Ho chiesto dov’era il gommista e mi ha risposto: lì, a 100 metri. In realtà più che un gommista era una casa di campagna diroccata con due tipi seduti che giocavano a carte. Ho chiesto: è qui il gommista? Sì, senor, però noi facciamo solo camion. Vediamo un po’. Ah, sì, d’accordo, la possiamo fare, non ci sono problemi. Il tipo mi ha chiesto di dove fossi e quando gli ho risposto che ero italiano ha detto: ah, anche qui a Uspallata c’è un italiano, Renato, che ha una fattoria ecologica.
La mia fortuna è stata che, mentre il collega riparava la gomma (causa della foratura: un chiodo), ho tirato fuori la carta geografica e ho chiesto all’altro tipo che itinerario fare per andare a Cordoba. Il tipo si è illuminato d’immenso, per così dire, e per tutto il tempo che l’altro riparava mi ha indicato i percorsi più pittoreschi da fare. Ha detto: io appena posso prendo la macchina e vado in giro per queste zone. Devi andare qui, qui e qui. C’è da fare un pezzo di sterrato, ma si può fare. Nel frattempo l’altro ha finito con la gomma, me l’ha lavata, pulita e rimontata e mi ha chiesto… 15 pesos (tre euro). No, ho detto io, non è il prezzo giusto. Io di pesos te ne do 30 (sei euro). Anche perché poi le indicazioni e i consigli sull’itinerario si sono rivelati preziosissimi. Invece che tornare a Mendoza e poi dirigermi a Cordoba, come pensavo, ho preso quindi la strada per Villa Vicencio, una minuscola località termale sulle Ande. Strada è un complimento. Dopo tre o quattro chilometri da Uspallata niente più asfalto e sterrato di sassi. Fin qui niente di nuovo (di 12mila km, almeno mille li ho fatti su strade non asfaltate - di varie qualità). Sono passato in posti stupendi con vista sulle Ande unica e anche davanti al monumento a Darwin, passato da qui, un monumento in mezzo al nulla. Arrivato ad un certo punto è iniziata una discesa spettacolare dalla cima della montagna alla valle di Villa Vicencio. Una meraviglia. Con un piccolo particolare. La pendenza era del 10% in discesa e lo stato della strada era pietoso. Essendo una strada di montagna era tutte curve a gomito, e a ogni curva dovevo andare al massimo a 20kmh anche perché la carreggiata era piena di sassi: alcuni piccoli, altri immensi, pietre delle dimensioni di una lavatrice. Tutti caduti dalla montagna, ovviamente, e altrettanto ovviamente nessuno fa la manutenzione, o si fa quando si ricordano. Anche perché non è che ci passino molte persone da questa strada. Avrò incontrato una dozzina di macchine nei 40 km fatti, perché c’è un’alternativa, passare da Mendoza, ma la strada è normale, quindi molto meno panoramica e avventurosa. Ho visto anche dei guanaco per la strada, un po’ meno timidi di quelli visti nella Patagonia del sud, e ho sentito per la prima volta il loro verso: nitriscono, un po’ come i cavalli.
La prossima cosa da vedere, secondo i consigli del gommista, era il Parque Nacional Sierra de las Quijadas, nella vicina provincia di San Luis. Ho dato un’occhiata alla mappa e ho calcolato che in paio d’ore ci potevo arrivare. Avevo fatto però i conti senza l’oste. O meglio senza la pessima (quasi assente) segnaletica e il fatto che nel navigatore i parchi nazionali non ci sono (e vicino al parco non c’è nessuna città). Morale della favola, dopo aver sbagliato strada due volte sono arrivato finalmente davanti all’entrata del parco nazionale che era quasi buio, pensando: vabbe’, chiedo un po’ di informazioni, mi trovo da dormire e poi domattina ci torno con calma. Mentre entravo, usciva in moto uno dei ranger che mi ha fermato, come per dire: ma dove a va a quest’ora? Gli ho detto: guardi sono venuto solo per avere informazioni, so che è tardi, torno domani. Il ranger ha risposto: sì, ora è chiuso, non c’è nessuno, ma se entri adesso che è il tramonto fai delle belle foto. Sei chilometri di sterrato e c’è il punto panoramico. Detto fatto. Ho percorso i sei chilometri di sterrato e sono arrivato al punto panoramico. Che posto! Sembra un po’ il gran canyon e un po’ le parti settentrionali del Kimberley in Western Australia. Ma anche diverso, sudamericano, ovviamente. Sembra un immenso cratere, non so, di 30-40 km di diametro, forse è un ex cratere vulcanico, e secondo il depliant una volta era terra di dinosauri, come del resto tutta l’Argentina. E c’era un laghetto, che ormai si è prosciugato, ma che ogni volta che piove di brutto si riforma in parte nella conca centrale. Ci vivono guanaco, mara (una specie di leprotti selvatici), vari piccoli rettili e tartarughe di una specie locale molto rara. Oltre a uccelli di ogni tipo. Alberi poco o nulla, soprattutto cespugli e macchia bassa. Colori dominanti: ocra, rosso, giallo (come da foto su facebook). Inutile dire che ho fatto un po’ di foto al tramonto ma ho deciso di tornare il giorno dopo. Problemino: qui intorno non c’è nulla, solo minuscoli paesini di campagna fatti da quattro case, cinque se va bene. Alternative per dormire (sempre secondo il ranger): Lujan, 100km a nord e San Luis, 100km a sud. Visto che venivo da nord, ho deciso di andare a San Luis, che essendo anche la capitale provinciale offriva maggiori opzioni. Dopo un’ora sono arrivato (saranno state le dieci e mezza) e ho trovato una stanza al “Gran Hotel Espana” per una quarantina di euro. Con parcheggio custodito, colazione, internet e pay-tv. DI fronte c’era un ristorante coi tavolini fuori, ci sono andato alle 11.15, era ancora pieno, anzi, c’era gente che veniva – per mangiare – anche a mezzanotte. Ho mangiato una discreta pizza napoletana. La mattina dopo dovevo passare a un bancomat (San Luis non è male come città, avrà un 200mila abitanti e qualche edificio interessante, oltre alla classica piazza coi giardini pubblici in centro, con la statua del fondatore, la fontana, ma questa volta anche una targa dedicata ai desaparecidos, descritti giustamente come vittime del terrorismo di stato) e quando ho finalmente trovato parcheggio davanti alla banca è venuto un tipo che mi ha detto: maestro (“maestro” è usato qui come “dottore” è usato da noi dai posteggiatori), laviamo la macchina? In effetti faceva abbastanza schifo, dopo tutta la polvere accumulata nelle varie strade non asfaltate fatte. Quanto mi costa? 15 pesos (3 euro). OK, ci vediamo fra 20 minuti, vado in banca e poi a fare la spesa. Quando sono tornato la macchina non la riconoscevo, sul serio! Tutta bella pulita e lavata, pure le ruote, da marrone terra era tornata verde. Gli ho dato venti pesos, lui tutto contento! Sono quindi tornato al parco nazionale, dove ho fatto diversi percorsi a piedi, altre foto e vista la bellezza del posto mi sono messo a sentire l’ipod come colonna sonora per corredare con audio l’esperienza visiva. Pat Metheny, album “Secret Story”. Perfetto. Un film.

mercoledì 12 gennaio 2011

Annotazioni e considerazioni

Innanzitutto due considerazioni. Mi piace viaggiare e il Sud America è un continente. Ovvio? Fino a un certo punto. Mi piace viaggiare nel senso proprio del viaggio, dello stare in macchina e fermarmi in posti che mi sorprendono, che mi attizzano, che non mi aspettavo.  O invece proseguire di corsa perché voglio arrivare al più presto possibile alla prossima destinazione. Altra cosa è il viaggio in treno o in aereo, dove le variabili sono molto poche. Come diceva Neil Peart dei Rush nella canzone “Anything Can Happen”: The point of the journey is not to arrive, ovvero: lo scopo del viaggio non è arrivare. E Il Sud America è un continente come l’Europa o l’Asia. Cambia quasi ad ogni chilometro. Cambiano gli accenti della gente, la morfologia del territorio, il cibo, le tradizioni, il fuso orario, la qualità delle strade e dei bagni, i prezzi, le parole, il clima, i volti della gente. Cambia tutto. Proprio come cambia tutto da Palermo a Helsinki. Dopo aver percorso quasi diecimila chilometri in macchina in Argentina, posso dire che anche all’interno dello stesso paese cambiano molte cose. A Buenos Aires è come a Roma: grande città, bella città, arroganza, fretta, stress, tutti a parlare al cellulare, traffico, musei, strade larghe, negozi, teatri, cinema, McDonalds, caos, l’accento portegno, che è praticamente l’equivalente del romanesco. Oggi invece sono a Bardas Blancas, un paesino di (forse) 100 persone, sulle Ande. Accento diverso, quasi “messicano”, tranquillità, cortesia, lentezza, un solo ristorante e un solo “albergo”, niente internet, niente copertura del cellulare, niente da fare o da vedere – a parte la natura: le montagne, il fiume, il bosco, il tramonto, il rumore del vento.
Parliamo dei bagni: a Buenos Aires no, ma in molte parti del Sud America, per motivi che non ho chiari, la rete fognaria non gestisce la carta igienica. Il che vuol dire che di fianco alla tazza c’è un cestino dove va messa la carta igienica. Che schifo! Succede anche nelle case “signorili”. Ad esempio nella casa della brasiliana dove sono stato ospite a Porto Alegre, che è forse la città più attrezzata del Brasile. Lei è architetto, vive in un quartiere “ricco”, eppure anche lì c’è il cestino. La conseguenza, se si mette la carta nella tazza, è che si intasa e ti torna tutto su. E’ successo nell’ostello in Uruguay dove sono stato. Nel bagno femminile qualche straniera deve essersene dimenticata e puf, allagamento totale di acqua, carta igienica e stronzi.
I benzinai. I benzinai sono come i nostri autogrill, ma più piccoli. Sono soprattutto due marche: YPF (l’Agip argentina) e Petrobras (l’Agip brasiliana). Parentesi: la super costa circa 80 centesimi di euro, poco per noi, tanto per loro, che guadagnano molto meno di noi. Hanno tutti un negozietto che vende di tutto, dalle forbici ai panini, dalle carte geografiche alla coca cola, dai biscotti alla birra, dalle sigarette ai CD. E quasi tutti hanno wifi. Diverse volte mi sono fermato con la macchina davanti a un benzinaio e mi sono collegato a internet senza problemi. Hanno ovviamente anche bagni, ma spesso senza carta igienica (mi sono attrezzato). C’è una cosa che non capisco: spesso ho visto file chilometriche per fare benzina, come da noi quando si annuncia lo sciopero dei benzinai. O addirittura stazioni di servizio chiuse per mancanza di benzina. Il paradosso è che l’Argentina ha benzina, in Patagonia ci sono diversi giacimenti di petrolio. Ho visto nella città di Comodoro Rivadavia, sulla costa patagonica, raffinerie a pieno regime nel porto e a 500 metri di distanza benzinai senza benzina. E’ chiaro che c’è un problema di gestione e di organizzazione. Forse ha a che fare col fatto che qui tutto funziona coi camion. I treni non esistono quasi più. Mi è stato detto che gli americani hanno spinto i governi sudamericani a passare al trasporto su ruota – i camion – a svantaggio dei treni. Risultato: oggi non ci sono più treni - come forse qualcuno ha visto nelle foto che ho messo su facebook le ferrovie sono abbandonate. E visto che tutti i trasporti di carburante sono su camion, evidentemente se il camion non arriva puntuale o se c’è un po’ di domanda di carburante in più (magari perché è estate e ci sono più turisti) il sistema va a puttane.
I “santuari”. Ne ho visti a migliaia, di tutte le dimensioni. Per la strada, ogni tanto, ci sono delle cose tipo cucce di cani, con drappi rossi, immagini votive e cose del genere. Vanno da dimensioni cuccia di cane a dimensioni tipo cappella elaborata. Pare che siano dei “per grazia ricevuta” o posti per mini-pellegrinaggi. La cosa buffa è che spesso sono corredati di decine di bottiglie di acqua minerale o coca-cola o sprite piene. Come se si volesse lasciare da bere al “santo”. Credo che sia una cosa degli indigeni, che sono stati cristianizzati ma che ovviamente, come succede in questi casi, hanno sovrapposto la religione cattolica al loro paganesimo. Indagherò.

sabato 8 gennaio 2011

Piedritas e la Pampa

Per centinaia di chilometri si vedono solo campi di girasole, granoturco e altre piante che non riconosco (ho fatto il classico e sono un "cittadino"!). Una specie di Emilia-Romagna immensa. Ogni 20, 30 km c'è un paesino, spesso si chiama come la famiglia che lo ha "colonizzato" (Cipolletti, Bernasconi, Rufino, Pergamino, Villa Rossi, ecc.). Uno si chiede: con tutta questa produzione di generi alimentari agricoli, come è possibile che l'Argentina non possa sfamare tutto il continente o tutto il mondo? Boh. Veramente, dopo 3 o 400 km che guidavo e vedevo solo campi coltivati, mi facevo queste domande. Le città e le cittadine argentine hanno una pianta identica. Periferia bruttina, poco curata, poco asfaltata, e centro carino con giardini pubblici e una "griglia" di strade tipo parole crociate che si ripete: da un lato le strade con i nomi dei posti (Calle Bolivia, Avenida Italia, Boulevar de los Andes), dall'altro i nomi di personaggi famosi e date storiche (c'è sempre una Avenida 9 de Julio, una Avenida San Martin, una Avenida Presidente Peron, eccetera). Le strade generalmente sono lunghe quanto tutta la cittadina, non cambiano nome ogni due o tre incroci come da noi. Purtroppo, Buenos Aires a parte (e mi dicono Cordoba e Mendoza, ma non le ho ancora visitate), non hanno molto da offrire: sono tutte recenti e fatte a risparmio, per così dire. Non ci sono vicoli, piazzette, monumenti che attirino l'attenzione. Per questo, a parte Buenos Aires, mi tengo lontano dalle città, perché non sono venuto qui per le città, ma per quello che c'è fuori dalle città. E poi, forse l'ho già scritto ma lo ripeto, qui ci si sente sicuri: continuo a chiudere sempre la macchina e a tenere nascosti soldi e passaporto, ma si respira un atmosfera di tranquillità che, ahimé, altrove in Sud America non si respira. E poi sfatiamo il mito degli argentini fanfaroni e superbi. Forse a Buenos Aires, ma io ho sempre incontrato gente cortese e disponibile. Anche la polizia: non ci sono volanti o stradale (almeno io non li ho visti), ma all'ingresso di ogni città c'è una sorta di posto di blocco della polizia (forse è un retaggio dei tempi della dittatura, forse no, non lo so). Quindi di poliziotti ne ho visti tanti: sempre gentili e cortesi. Quando capiscono che sono straniero mi chiedono sempre se mi piace il paese e io non devo mentire per dire di sì. Qui è obbligatorio tenere le luci accese sulle strade extraurbane. Un paio di volte mi sono scordato. Teoricamente potevano farmi la multa, invece, cortesemente mi hanno detto di accenderle e basta.
Fra l'altro adesso vado un po' più veloce, 120, 130kmh, ma continuano a superarmi tutti: vanno a 180-200, secondo i miei calcoli visivi. I camion invece no, rispettano il loro limite di 90.
Dopo i 400 e passa km di campagna coltivata, stanco, ho deciso di trovarmi un posto per dormire. L'obiettivo era la cittadina di General Villegas, invece un po' prima ho visto un cartello: Posada del Sol, Piedritas. Ho girato a sinistra e c'era il paesino minuscolo di Piedritas. Otto strade in croce. Mi sono fermato davanti alla posada (più o meno vuol dire pensione) e sono entrato a chiedere. La ragazza alla reception ha capito che non ero argentino e mi ha detto che ero il primo cliente straniero di sempre. Poi è arrivata la madre: "Che onore", ha detto. "L'onore è mio", ho risposto. Insomma è una famiglia di lontana origine francese, Lahitte, padre, madre e due figlie. La piccola ha studiato cucina e ha vissuto anche in Nuova Zelanda, la grande si occupa di organizzare mostre d'arte. La camera era molto carina, sono riusciti a dare carattere a un posto anonimo. A cena ho mangiato una buona pizza. La madre è venuta a chiedere se era all'altezza (essendo io italiano). "Certo", le ho risposto, "se era cattiva non me la mangiavo!". La mattina dopo (nella posada c'era wifi) mi hanno aiutato a trovare un itinerario giusto per la Patagonia e mi hanno dato consigli sul viaggio. Che bella famiglia. La piccola, che conosce bene la storia locale, mi ha detto che se torno mi fa vedere la campagna e come si lavora nei campi qui in Argentina. Non so se torno, Piedritas non è sul mio itinerario di ritorno a Buenos Aires, chissà.