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domenica 28 novembre 2010

São Paulo

E’ una città immensa, quasi 20 milioni di abitanti. Chi crede che Roma, Londra o Sydney siano grandi città venga a São Paulo. Essendo cresciuta a dismisura negli ultimi 50 anni è caotica, senza un piano regolatore comprensibile, piena di condomini altissimi tipo alveari e altrettante favelas, che però, al contrario di Rio, sono invisibili a meno che uno non ci passi davanti e concentrate nella grande periferia. E’ ovviamente una città brasiliana ma anche una città italiana. L’emigrazione italiana, iniziata verso la fine dell’ottocento, è stata massiccia e la maggioranza assoluta della popolazione è di origine italiana, tanto che un ex governatore dello stato di São Paulo ha detto: se tutti gli italiani che vivono qui mettessero alla finestra la loro bandiera, dall’alto São Paulo sembrerebbe una città italiana. E questo si vede da tante cose: a parte la più ovvia, la cucina, anche i volti della gente, l’architettura di alcuni quartieri (sembra di stare a Roma), i nomi sui negozi, i nomi delle strade, dei giornalisti e personaggi televisivi e l’accento locale. I brasiliani dicono che il portoghese di São Paulo è molto influenzato dall’italiano, sia nella parlata, sia nel vocabolario (al telefono dicono “pronto” invece di “alò”, cazzo è una parolaccia diffusa, la “r” è quella italiana e non quella “francese” degli altri brasiliani, eccetera). Comunque non ci sono solo gli italiani: è pieno di giapponesi, giunti qui più meno nello stesso periodo degli italiani, siriani e libanesi, coreani e cinesi, ebrei, polacchi, tedeschi, spagnoli e ovviamente portoghesi e neri. E’ su un altopiano di 800 metri, quindi ha un clima completamente diverso da quello afoso di Rio. D’inverno pare che faccia addirittura freddo e piove molto in tutte le stagioni. C’è un traffico della Madonna. Ci sono diversi viali grandi, ma soprattutto al centro sono tutte stradine in salita/discesa tipo Monteverde a Roma. La città è comunque (apparentemente) ben servita da autobus e metropolitana e da una marea di taxi. Non c’è molto da vedere (São Paulo è a una settantina di km dalla costa, ha due fiumacci bruttarelli e non c’è mare, né monumenti di nota), ma per chi ha voglia c’è molto da fare: è veramente pieno di ristoranti, locali con musica dal vivo, musei, mostre, centri commerciali, cinema, teatri, eccetera. Oggi sono stato al Museo della lingua portoghese. Molto interessante: modernissimo, con audiovisivi e multimedia, pannelli luminosi e computer touch screen, spiega la storia della lingua dalle sue origini neolatine all’arrivo in Sud America e alla contaminazione con le lingue indigene, quelle degli schiavi africani e poi quelle degli emigranti (vedi italiano). Ananas, ad esempio, qui si dice abacaxi (pronunciato abacascì), parola indigena, bagunça (confusione) viene da una lingua africana, brachola inutile che lo dico, eccetera. Sono parole che nel portoghese di Lisbona non esistono. A São Paulo ho anche rivisto tre miei cugini coetanei del ramo che emigrò in Brasile da Cesena negli anni 1910 (Ricardo, Lincoln e Dante Lucchi) e stabilito il primo contatto con un altro ramo che ho conosciuto per caso quando un’altra cugina (Andréa Lucchi) mi ha trovato su facebook. Andrea è figlia di Aìlton Lucchi, che fra l’altro somiglia a mio padre, e pronipote di Celso Lucchi, un altro fratello di mio nonno di cui ignoravo l’esistenza. E’ stato divertente. Andréa mi ha invitato a vedere uno spettacolo di danza classica di cui lei curava la regia (è stata ballerina classica e coreografa) insieme alla sorella. Mi ha riconosciuto subito (per le foto su facebook, suppongo) e poi siamo andati a cena in una pizzeria (quelli di São Paulo sostengono di fare la miglior pizza del mondo - come quelli di New York e Buenos Aires, del resto, ma non se ne parla neanche). In pizzeria c’era praticamente tutta la famiglia. Aìlton parla il portoghese italianizzato del quartiere di Mooca, ma non l’italiano, come il resto della famiglia. Sono stati molto simpatici e gentili. E’ stato piacevole averli conosciuti e aver messo al suo posto un altro tassello dell’albero genealogico.  Mi hanno anche raccontato alcuni retroscena divertenti della famiglia Lucchi in Brasile. A quanto pare tutti hanno fatto fortuna, mentre i Lucchi rimasti in Italia un po’ meno… Andréa, che non fa più la coreografa ma la psicologa (bel salto), viaggia molto e non è detto che non ci si riveda, magari in Italia o in Australia.

mercoledì 24 novembre 2010

Paraty e dintorni

Paraty. Innanzitutto una nota linguistico-ortografica: alcuni anni fa i paesi lusofoni, ovvero di lingua portoghese, hanno deciso di abolire dall’alfabeto e dalla grafia delle parole (straniere a parte) la ipsilon. In effetti, come la k e la w per noi italiani, la y ai lusofoni non serve. E’ rimasta solo in alcuni toponimi. Uno di questi è Paraty (pronunciato paracì). E’ una cittadina sulla costa a circa 200 km a sud di Rio, architettura coloniale portoghese ben conservata, case tutte con un massimo di due piani, isola pedonale (anche perché la pavimentazione è ancora quella originale, tipo Appia Antica, quindi spaccherebbe ruote e sospensioni), e una bella atmosfera. C’ero già stato la prima volta che venni in Brasile e volevo tornarci. Per arrivarci è stata un po’ un’odissea. Mi ero scordato di quanto fossero brutte le strade in Brasile. Siamo partiti da Rio alle 9 e per percorrere 200km abbiamo impiegato quattro ore. Non tanto per il traffico, che c’era solo per uscire dalla città, quanto per il sistema usato in Brasile per costringerti a rallentare. Invece dei semafori (ne abbiamo incontrati forse tre in 200km), qui usano i “quebra-molas”, letteralmente: spacca ammortizzatori. Funziona così: in prossimità di un centro abitato, di un attraversamento, di un incrocio - o semplicemente perché sì, ci sono dei dossi artificiali che se non rallenti a 5kmh ti rompono la macchina. Sono segnalati, sì, dovrebbero essere dipinti di giallo e nero, ma la manutenzione è carente, quindi molti sono invisibili e o inchiodi o spacchi tutto. Per questo l’amico che guidava andava a una media di 60 all’ora. Fondamentalmente se conosci la strada sei salvo, se non la conosci sono cavoli amari. Anche perché in 200km ne avremo incontrati più di 100. Guarda caso, spesso in prossimità dei quebra-molas ci sono carrozzieri e meccanici… Mentre sto scrivendo questo post sono sulla Rio-Sao Paulo che non ha quebra-molas ed è in buono stato, ma la Rio-Santos, che passa per Paraty, è pure piena di buche e ha un manto stradale che lascia un po’ a desiderare, per dirla con un eufemismo. Altra cosa: la benzina costa. Nonostante la Petrobras (l’ENI brasiliana) sia una delle più grandi aziende al mondo e qui ci siano giacimenti, la benzina costa quanto in Italia, con la differenza che gli stipendi qui sono molto più bassi. Comunque, superato il campo minato dei quebra-molas siamo arrivati a Paraty. Eravamo in cinque. Oltre a me, German e la moglie brasiliana Daniele, c’erano la sorella di Daniele, Elaine, e un amico colombiano ingegnere, Javier. Caldo umido e voglia di farsi il bagno, quindi ricerca immediata di un albergo (pousada). Essendo sabato non è stato facile. Comunque alla fine lo abbiamo trovato, anche abbastanza economico (20euro a persona). Alla sera siamo stati in un ristorantino coi tavoli di fuori dove abbiamo mangiato gamberi e pesce, innaffiati da birra e caipirinhas. Avevo capito che il cameriere/gestore aveva un accento italiano e infatti era un lucchese, sposato con una brasiliana (l’altra cameriera) in Brasile da dieci anni. Si lamentava dell’Italia e delle tasse e diceva che qui (in Brasile) si pagano meno imposte se hai un’impresa. Abbiamo fatto un giro del paese e poi io sono andato a dormire mentre gli altri sono andati a ballare forrò, una specie di liscio brasiliano.

Samba e altro

A Lapa, il quartiere dei locali musicali di Rio, ho scoperto (con colpevole ritardo) che sangue e cultura sono due cose completamente diverse. A volte coincidenti, ma – appunto – per coincidenza. Immagino che sociologi e antropologi lo scoprano sul primo libro di testo che leggono. Mi spiego: siamo andati, per l’appunto, a Lapa, una specie di Trastevere di Rio, strade strette di ciottoli e edifici relativamente antichi, all’ombra dei nuovi grattacieli di Rio Centro. E’ pieno di locali con musica dal vivo, alcuni per turisti, altri più autentici. E qui la musica dal vivo è samba, bossa nova o MPB (mùsica popular brasileira). Il locale era a tre piani, all’interno di una vecchia casa credo signorile, e su ogni piano c’era una banda che suonava. Al centro c’era una sorta di “lucernario”, in modo che affacciandosi si potevano vedere i due piani inferiori (comunque ho messo le foto su facebook). Secondo gli amici che erano con me i gruppi erano così così, ma a me, da profano, non sono dispiaciuti affatto. Anzi, dopo un paio di caipirinhas mi sono sembrati ottimi. Tornando alla “scoperta”, c’erano ragazzi e ragazze e gente meno giovane, sia bianchi che afro-brasiliani, che ogni tanto, quando c’era la canzone “giusta” si mettevano a ballare samba. E ballavano con tale naturalezza e abilità che mi è risultato ovvio che è una questione culturale, non (o non solo) di sangue. Nel senso che se sei cresciuto in quest’ambiente e questa cultura balli samba sia che tu sia bianco che nero. Che poi il samba sia stato portato in Brasile dagli schiavi africani è un altro discorso: oggi fa parte della cultura brasiliana tout court e anche se sei di origine italiana o tedesca, senza una goccia di sangue africano, lo “senti” e lo balli con la stessa “competenza”. Io comunque non ballo, né oggi né mai, quindi è solo una considerazione da osservatore del tutto distaccato.

giovedì 18 novembre 2010

La vista dalla casa di Daniele e German
Oggi c'è stato il sole. Ho comprato una sim brasiliana per il cellulare e ho tentato di comprare una chiavetta USB per collegarmi a internet tramite wifi. Per la sim è stato divertente perché in un negozio tipo Trony sono dovuto andare prima a scegliere il numero, poi da un altro tipo per fare la carica, poi da un altro tipo per avere la sim e poi tornare dal primo tipo per l'installazione. La sim è costata 10 real (cinque euro) e la carica che ho fatto è stata la minima, 12 real. Ho preso una sim TIM, che a quanto pare è la più efficiente in Brasile (non mi sembra che la TIM abbia la stessa reputazione in Italia, boh). Invece per l'USB/internet per il computer, sempre TIM, ma in un altro negozio, il tipo mi ha detto che devo fare il contratto, che a me ovviamente non serve. Mi dicono che c'è un'altra ditta che fa il prepagato, che è quello che serve a me: vedremo. Poi sono andato con German sulla spiaggia di Copacabana dove sono arrivate la madre e la sorella di Daniele. Abbiamo mangiato in un chiosco sulla spiaggia: io salsiccia e insalata "innaffiate" da Guaranà. Stiamo meditando di andare a fare un weekend a Parati, un paesino tipo Sperlonga, sul mare, a circa 200 km a sud di Rio. http://www.paraty.com.br/bairros/centro/index.asp
Ho notato che dall'ultima mia visita in Brasile (2005) i prezzi sono molto saliti. Ma oggi sul giornale c'era scritto anche che il governo alzerà il salario minimo, quindi credo sia il segnale che salgono i prezzi perché salgono gli stipendi e la gente può permettersi di spendere. Qui nel qurtiere di Leme http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Leme,+Rio+de+Janeiro,+Brasil&sll=41.442726,12.392578&sspn=9.252168,25.356445&ie=UTF8&hq=&hnear=Leme,+Rio+de+Janeiro,+Brasile&ll=-22.959974,-43.17112&spn=0.088831,0.198097&t=h&z=12 c'è un po' di tutto. Appartamenti di ricchi (mi dicono che si paga anche più di mille euro al mese per un appartamento buono, al che uno dice: come faranno a permetterselo - ma uno lo dice anche degli affitti di Roma), favelas sulla collina (vedi foto), signore eleganti con cagnolini pregiati e poveracci che vendono qualunque cosa su cassette di frutta. Avenida Nossa Senhora de Copacabana, la strada principale, è piena di: supermercati tipo Conad, giornalai, tabaccai, barbieri, agenzie di viaggi, negozi di abbigliamento non proprio di lusso, banche (quante banche) e mini-Trony. Devo dire che nessuno cammina con la paura di essere rapinato, ma devo aggiungere che ci sono guardie giurate armate un po' dappertutto. Stasera si va in un locale di musica dove pare si suoni samba.

Primo giorno a Rio de Janeiro

L'amico Fabrizio Pelliccioni (colgo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente) mi è venuto a prendere, puntualissimo, alle 5.15, siamo arrivati a Fiumicino alle sei meno un quarto e mi sono imbarcato sul volo British Airways come da copione alle 7.15. Poi, una volta tutti seduti e cinturati, la notiziaccia: all'aeroporto di Londra c'è nebbia quindi partiamo con almeno un'ora di ritardo (che poi sono diventate due). In effetti giunti a Londra non si vedeva niente. Visto che avevo la coincidenza per Rio alle 12, mi sono precipitato dall'altra parte del terminal per non perdere il volo. Anche lì stessa strategia della British Airways: tutti dentro l'aereo e poi la stessa notizia: c'è nebbia, quindi c'è la fila per partire, almeno un'ora di attesa (anche qui sono diventate due). Il problema stavolta è che c'era l'aria condizionata non a mille, ma a duemila (incomprensibile, visto che la temperatura a Londra era di otto gradi, boh...). Insomma, io ero seduto di fianco a una brasiliana che si è messa subito la coperta addosso per il freddo, ma se la brasiliana è comprensibile, c'era anche un gruppo di norvegesi con cappotti e sciarpe, perché l'aria condizionata era veramente assurdamente fredda e forte. Ho chiesto alla hostess: è proprio necessario avere l'aria condizionata a mille? Lei ha detto: vedrò quel che posso fare e ovviamente non ha fatto nulla. Morale della favola: già prima che l'aereo partisse io e metà dei passeggeri eravamo raffreddati, si sentivano sternuti e tosse da ogni parte dell'aereo, sembrava che fossimo in Antartide, tutti maglionati e con addosso le coperte. Finalmente alle due del pomeriggio siamo partiti. Durata effettiva del volo: 11 ore. Film visti: Iron Man 2 (voto 3 su 5); A-Team (2), Jonah Hex (2), The Other Guys (3). Cibo come sempre indefinibile, vino rosso argentino Malbec non male. Dovevamo arrivare alle 21.50 a Rio e il mio amico argentino German, il tastierista del mio gruppo in Australia, che ora vive qui con la moglie brasiliana Daniele, si era offerto di venirmi a prendere. Ho pensato: poveraccio, adesso sta già all'aeroporto e noi siamo ancora in volo sull'Atlantico. Siamo atterrati a mezzanotte meno un quarto. Poi il controllo passaporti: un'altra mezz'ora. Per fortuna che avevo solo bagaglio a mano, se no stavo ancora lì (poi, in uno dei prossimi post, illustrerò la mia politica del viaggiare il più leggero possibile, di bagaglio intendo). All'uscita dall'aeroporto c'era German, che poveraccio aspettava da due ore. Però si era portato un libro, quindi almeno ha avuto qualcosa da fare nell'attesa. Siamo andati subito ad un bancomat, perché in Italia non avevo trovato i Real (divisa brasiliana). Di dieci bancomat visitati, solo uno (ovviamente quello con la fila) mi ha dato i soldi. Gli altri o non riconoscevano la mia carta o dicevano che c'erano vaghi problemi. Usciamo, prendiamo un taxi e dopo mezz'ora arriviamo a casa di German e Daniele. Sta nel quartiere di Leme, praticamente a Copacabana, a una traversa dalla spiaggia. Concludo il primo post dicendo semplicemente che siamo andati a dormire alle 2 locali (che per me erano le 5, calcolando il fuso) e che ho dormito malissimo per colpa dell'ormai galoppante raffreddore. Intanto, fuori, pioveva.