Nell'ultima settimana sono sempre arrivato in albergo tardi, stanco e senza molta voglia di aggiornare il blog. Ripariamo.
L'arrivo a Buenos Aires. Sono uscito dal traghetto, ho preso un taxi e mi sono trovato un albergo in centro, sulla Avenida de Mayo, fra Plaza de Mayo e la Casa Rosada, vicino all'Obelisco. Ho mangiato una cotoletta che col senno di poi non doveva essere il massimo, perche´ ho passato i due giorni successivi... al cesso! Ho comunque avuto il tempo di fare un giro sul pullman turistico, che ferma in tutte le attrazioni principali della citta´, dalla Boca a Palermo, dove ho fatto le foto di prammatica. Mi e´piaciuta molto la riserva naturale, una sorta di immenso parco/polmone verde fra il centro e la costa, dove ho visto molti uccelli, una megalucertolona e tanto verde. Poi ho affittato la macchina: una Volkswagen Gol, un modello che non credo esista in Europa, una via di mezzo fra Golf e Polo. Affittare la macchina in Argentina costa molto, circa 55 euro al giorno, ma non avevo alternative se volevo, come voglio, girarmi la Patagonia a mia discrezione. Che dire di Buenos Aires? C'ero gia´stato, quindi l'ho girata in fretta. E' una metropoli immensa, 12 milioni di abitanti, e il centro e´ stato pensato come una specie di Parigi sudamericana. Ci sono molti edifici in chiaro stile parigino, grandi viali alberati e quartieri residenziali molto belli, e si vede che una volta l'Argentina era un paese ricco, orgoglioso e in crescita. Ora lo e´ molto meno, anche se gli argentini, e gli abitanti di Buenos Aires in particolare, sono tuttora molto orgogliosi. E' anche chiaro che gli argentini, volendo costruire Buenos Aires in questo stile, abbiano voluto chiarire al resto del mondo che non si sentono sudamericani, ma europei in trasferta. Il resto dei sudamericani questo non glielo perdona e le barzellette sulla presunzione degli argentini si sprecano. Uscire da Buenos Aires e´ stato piu´ facile di quanto credessi. Alla fine della Avenida 9 de Julio inizia l'autostrada che porta a Rosario, al nord, o a Mar del Plata, a sud. Volevo andare a sud, ma il portiere dell'albergo mi ha convinto invece a fare il giro contrario, ovvero Rosario, la Pampa e la Patagonia andina. Dopo circa tre ore sono arrivato a Rosario, la terza citta´del paese, con un milione e mezzo di abitanti, sul fiume Parana´. Devo aprire una parentesi per spiegare come guidano gli argentini. Come gli pare. Ci sono limiti di velocita´, fra l'altro abbastanza alti (130), ma tutti, ribadisco: TUTTI, guidano a velocita´ folli. Io, che come straniero rispetto tutti i limiti per evitare contatto con la polizia, sono stato superato da tutte la macchine sull´autostrada. E' come in Italia: ti abbagliano e corrono a 180-200. Anche quando i cartelli dicono: centro abitato, rallentare, o cose del genere. Bisogna dire che le strade sono buone, mille volte meglio che in Brasile, e non ho mai visto un incidente, quindi si vede che sanno guidare bene, pero´ corrono come se fossero a un gran premio di Formula 1.
A Rosario ho contattato la sorella di un mio amico argentino che vive a Sydney, German, che abita col marito e i figli nel quartiere italiano. Lei si chiama Autino, piemontese, lui Scialfa, di chiara origine siciliana. Abbiamo fatto un barbecue nel club italiano. Sono rimasto un giorno in piu´del previsto perche' mi hanno invitato a cena e ci siamo subito trovati bene. Lui gestisce una radio internet. Qui si mangia dalle 22 in poi, prima i ristoranti sono vuoti. Mangiare costa poco. Una cotoletta con patatine e una birra li paghi 5-7 euro. Rosario e´ una bella citta´, molto diversa da Buenos Aires. E´ sul fiume Parana´, un fiume immenso, praticamente non si vede l'altra riva, e Rosario e´ costruita solo sulla riva ovest. Il centro e´ cosi´ cosi´, strade a croce senza troppa personalita', mentre la parte in riva al fiume e´ molto bella, piena di parchi, zone aperte ed edifici moderni. Prima di partire per il Sud ho deciso di comprare un navigatore: sono andato in un centro commeciale e l'ho preso. Il piu' economico costava circa cento euro. Ha anche la voce in italiano e funziona bene. Devo dire che mi e' servito molto, soprattutto per entrare e uscire dalle citta´, che e´ ovviamente la cosa piu' complicata. Insomma, sono partito da Rosario e mi sono diretto verso sud, sulla statale 33. Prima fermata: Piedritas, di cui parlero´ nel prossimo post. Grazie per l'attenzione.
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martedì 28 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
Montevideo e Colonia del Sacramento
Come dicevo nell'ultimo post, una giornata di sole cambia completamente la prospettiva di una città vista inizialmente sotto la pioggia e col freddo. Ho passato l'intera giornata a camminare per Montevideo, sia per motivi di piacere che di dovere, per così dire. Prima cosa: cercare di riparare il cellulare o comprarne uno nuovo e trasferire i dati. Su internet ho cercato i riparatori di cellulari del centro di Montevideo, me li sono segnati su un pezzo di carta... e me li sono fatti tutti. Erano praticamente tutti sulla 18 de Julio, la strada principale della città. Come spesso accade, solo il decimo mi ha detto che si poteva fare e subito (cosa essenziale per me). Gli altri o non sapevano che pesci prendere o mi davano prezzi assurdi o mi dicevano: okay, ce lo lasci e ripassi fra una settimana. Quando avevo perso le speranze, ne ho trovato uno al n. 2220 della strada (per dare un'idea, ero partito dal numero 1) che ha detto: okay, ripassi fra un'oretta che è pronto: 100 dollari. Sì, perché ho scoperto che in Uruguay hanno corso legale sia il peso locale (1 euro = 27 pesos) sia il dollaro americano. Tanto che quando ho detto alla tipa che non avevo dollari americani, mi ha risposto: vada in qualunque bancomat a prenderli. Detto fatto: nei bancomat puoi scegliere se vuoi pesos o dollari. Mentre aspettavo sono andato a tagliarmi i capelli. Il barbiere, appena ha scoperto che sono italiano, mi ha raccontato la storia dell'Uruguay e mi ha fatto i complimenti per il mio spagnolo.
Risolta la faccenda telefono (lo so: 100 dollari, però non avevo scelta, e poi dove lo trovi, in qualunque parte del mondo, uno che te lo fa in un'ora? Neanche se è amico tuo) ho potuto fare il turista e mi sono girato la città vecchia e tutto il lungomare, che devo dire è molto bello. Montevideo sembra davvero un po' Barcellona e un po' Bari, anche se il lungomare è molto simile a quello di Copacabana, a Rio de Janeiro. Essendomi fatto una decina di chilometri a piedi, verso le 10 mi sono accomodato a letto.
Il giorno dopo, prima di partire per Colonia del Sacramento, ho visto Miguel, un amico del collega della SBS Ruben Fernandez, che mi ha portato al museo del football allo stadio Centenario e poi sulla costa nord di Montevideo, nel quartiere di Carrasco, che è la zona in della città. Alle 14,30 ho preso il pullman per Colonia, dove sono arrivato due ore dopo. Ho trovato un alberghetto e poi in giro per la cittadina. Colonia (20mila abitanti) è stata fondata dai portoghesi nel 1680 come avamposto per commerciare con la colonia di Buenos Aires, che è di fronte, separata dal Rio della Plata (che in questo punto di estuario è largo 50 km). Anche se parte degli edifici è nel frattempo crollata, Colonia ha ancora una bellissima atmosfera coloniale, stradine di ciottoli con case antiche (molte restaurate e abitate) di tutti i colori, spiagge carine e, alla sera, si vedono le luci di Buenos Aires all'orizzonte, dall'altra parte del Rio della Plata (su facebook ci sono le foto). Ci sono rimasto due giorni e poi ho preso il traghetto per l'Argentina, dove sono adesso.
Risolta la faccenda telefono (lo so: 100 dollari, però non avevo scelta, e poi dove lo trovi, in qualunque parte del mondo, uno che te lo fa in un'ora? Neanche se è amico tuo) ho potuto fare il turista e mi sono girato la città vecchia e tutto il lungomare, che devo dire è molto bello. Montevideo sembra davvero un po' Barcellona e un po' Bari, anche se il lungomare è molto simile a quello di Copacabana, a Rio de Janeiro. Essendomi fatto una decina di chilometri a piedi, verso le 10 mi sono accomodato a letto.
Il giorno dopo, prima di partire per Colonia del Sacramento, ho visto Miguel, un amico del collega della SBS Ruben Fernandez, che mi ha portato al museo del football allo stadio Centenario e poi sulla costa nord di Montevideo, nel quartiere di Carrasco, che è la zona in della città. Alle 14,30 ho preso il pullman per Colonia, dove sono arrivato due ore dopo. Ho trovato un alberghetto e poi in giro per la cittadina. Colonia (20mila abitanti) è stata fondata dai portoghesi nel 1680 come avamposto per commerciare con la colonia di Buenos Aires, che è di fronte, separata dal Rio della Plata (che in questo punto di estuario è largo 50 km). Anche se parte degli edifici è nel frattempo crollata, Colonia ha ancora una bellissima atmosfera coloniale, stradine di ciottoli con case antiche (molte restaurate e abitate) di tutti i colori, spiagge carine e, alla sera, si vedono le luci di Buenos Aires all'orizzonte, dall'altra parte del Rio della Plata (su facebook ci sono le foto). Ci sono rimasto due giorni e poi ho preso il traghetto per l'Argentina, dove sono adesso.
lunedì 13 dicembre 2010
Montevideo
Purtroppo non ho tempo di scrivere, c'e' la fila per il computer all'hotel, ma Montevideo mi piace molto. E' sicuramente la citta' piu' vivibile e piacevole che ho visitato finora in Sud America.
E una giornata di sole, calda ma non troppo, cambia completamente la prospettiva. A presto per i dettagli e le foto.
E una giornata di sole, calda ma non troppo, cambia completamente la prospettiva. A presto per i dettagli e le foto.
domenica 12 dicembre 2010
Prime ore a Montevideo
La partenza stamattina da Punta del Diablo e' stata traumatica. Un freddo cane e pioggia. L'ostello e' a circa un chilometro dalla fermata dei pullman e quindi ho ringraziato mentalmente mia cugina Opi che mi ha regalato un K-Way il giorno prima di partire (Grazie Opi!). L'autobus e' arrivato puntuale, alle 9.20, ma era pieno, per fortuna il mio posto era numerato (avevo comprato il biglietto il giorno prima), quindi mi sono potuto sedere. Non era un espresso e si e' fermato in tutte le cittadine, da Punta del Diablo fino a Montevideo, ma e' stato utile per vedere un po' di realta' uruguayana. Le cittadine sono tutte ad architettura bassa, massimo due piani, quindi molto estese, relativamente parlando, ma invisibili fino a quando non ci si arriva. Sembrano tranquille e pulite, niente a che vedere con il Brasile, e niente cancelli a punteruoli o fili spinati e perimetri elettrici per proteggere le abitazioni, che in Brasile sono la regola. Si capisce che e' un paese tranquillo. Sul pullman mi sono addormentato. Mi sono svegliato alla periferia di Montevideo alle 14, quando e' arrivato il pullman. Quando sono sceso: ancora piu´ freddo, ho dovuto tirar fuori il maglione. Qui in teoria dovrebbe essere piena estate, ma quando arrivano le perturbazioni con aria fredda dall'Antartide non c'e' estate che tenga. Nonostante il cellulare con lo schermo nero sono riuscito a chiamare il numero di telefono di un hotel segnalato sulla guida Lonely Planet, ci sono andato con un taxi (il tassista era figlio di napoletani, qui in Uruguay una persona su tre e' di origine italiana) ed eccomi qua. Ha smesso di piovere e mi sono fatto una passeggiata per il centro di Montevideo, piu' che altro con l'occhio ai negozi di cellulari per tentare di far riparare il mio domani (oggi e' domenica) e mi sono mangiato una "milanesa al plato" (cotoletta alla milanese con le patatine fritte) con birra in un ristorante della strada principale, la 18 de Julio. In tv c'era l'ultima giornata del campionato argentino, per la cronaca ha vinto l'Estudiantes, battendo 2-0 l'Arsenal. Ma faceva troppo fredo per continuare la passeggiata, quindi quando ha fatto buio (alle 21.15) sono tornato in albergo a scrivere questo aggiornamento.
sabato 11 dicembre 2010
Punta del Diablo – Uruguay
L’arrivo è stato avventuroso. Sono partito da Porto Alegre in pullman e l’itinerario prevedeva discesa a Chuy, subito dopo la frontiera fra Brasile e Uruguay alle 5 della mattina. Da lì il piano era aspettare nella stazione dei pullman che aprissero i negozi, o trovare un bancomat, cambiare i soldi e comprare un biglietto per Punta del Diablo, che è a una quarantina di chilometri. Il problema è che l’autobus mi ha lasciato alla fermata, che sta già in Uruguay, in un posto deserto, con solo la caserma della dogana. Essendo le cinque era anche buio pesto. Il tipo della dogana ha detto che avrebbe anche cambiato dei soldi, ma solo dollari. Io avevo euro, pesos argentini, real brasiliani ma niente dollari. Intanto è arrivato l’autobus per Punta del Diablo. La sorte ha voluto che alla fermata ci fosse anche un francese, Tomas, che senza neanche che glielo chiedessi mi ha detto che mi avrebbe prestato i soldi: andava anche lui a Punta del Diablo. Fra l’altro il prezzo del pullman era di 51 pesos uruguaiani, ovvero solo due euro. Anche lui veniva dal Brasile e non aveva pesos, ma sul pullman ha conosciuto un’uruguayana che gli ha detto che a Punta del Diablo non ci sono banche, quindi gli ha cambiato in amicizia qualche soldo. Insomma, parlando in spagnolo col francese, un simpaticone, ho scoperto che anche lui è in viaggio per un anno. E’ di Pau, vicino ai Pirenei (Pau è un classico punto di arrivo delle tappe pirenaiche del Tour de France, il fatto che lo sapessi lo ha divertito). Siamo arrivati a Punta del Diablo un’ora dopo, all’alba. Il pullman ha fermato davanti alla casermina della polizia. Abbiamo chiesto al poliziotto se sapeva dove fosse l’ostello El Diablo Tranquilo, raccomandato dalla guida Lonely Planet, e ce lo ha indicato. Il problema è che in strada non c’era nessuno, eppoi strada per modo di dire. Punta del Diablo non ha strade asfaltate, solo sterrati. E’ veramente un posto remoto, un villaggio di pescatori che per la bellezza della spiaggia si sta lentamente trasformando in località turistica. Ma non è sviluppato, turisticamente. Non ci sono alberghi, solo casette, capanne, bungalow e affini. Un po’ come alcuni paesini della Sardegna 30 anni fa (guardate le foto su facebook, ne ho messe una trentina). Per botta di culo siamo arrivati all’ostello e per botta di culo c’era uno dello staff che si era appena alzato. Ci ha detto che era troppo presto per fare il check-in e ci ha detto di metterci a dormire sui divani dell’ingresso (ribadisco, erano le sei – splendida alba, fra l’altro, soleggiata ma fredda). Detto fatto. Un’ora dopo si sono alzati altri dello staff e ci hanno preparato i letti, in una camerata da otto (gli altri sei dormivano). Erano anni che non andavo in un ostello e devo dire che a parte che si spende pochissimo (53 dollari USA per tre notti) è forte perché ci sono un sacco di persone di ogni parte del mondo (qui c’erano australiani, neozelandesi, americani, canadesi, svedesi, brasiliani, cileni, irlandesi, ecc). Il fatto che dormi con altri nella stanza su letti a castello ogni tanto si può fare. I tre giorni successivi li ho passati in spiaggia fino a verso le 16, quanto puntualmente ha iniziato a piovere. Fra l’altro il primo giorno alla sera ha fatto proprio freddo, tanto che per la prima volta da quando sono in Sud America mi sono messo il maglione e questo mi ha fatto un attimo riflettere sull’opportunità di arrivare fino alla Tierra del Fuego o se invece fare il comodone ed evitare temperature basse bypassando il sud della Patagonia. Vedremo. In ogni caso alla sera ho offerto la cena al francese, perché se non mi avesse prestato i soldi non so come avrei risolto la faccenda. Devo anche affrontare il primo problema vero dalla partenza. Si è rotto lo schermo del cellulare cadendo, è tutto nero, e devo sperare di trovare, a Montevideo, dove vado domani, un negozio Nokia dove comprarne uno nuovo e trasferire numeri e dati da quello rotto (non sono solo i numeri, sono anche i codici della banca, i pin delle carte, ecc). Speriamo bene.
venerdì 10 dicembre 2010
Curitiba-Florianopolis-Porto Alegre
A Curitiba sono arrivato da Foz do Iguaçu, solo per fare tappa in vista di Florianopolis. Ho percorso in autobus praticamente tutto lo stato del Paranà da ovest a est. E per la strada non ho potuto non notare che il 90% delle imprese, delle ditte, delle fabbriche, dei negozi, sono di italiani. O per lo meno hanno nomi italiani. Andrea Ciacchi mi aveva spiegato che questo stato, una volta quasi disabitato a ovest per motivi militari (frontiera con Argentina e Paraguay) è stato popolato da coloni italiani e tedeschi provenienti dallo stato del Rio Grande do Sul. E si vede, pare che tutti gli italiani giunti nel Paranà abbiano aperto una qualche attività commerciale, mentre i tedeschi devono essersi dedicati all’agricoltura. Comunque di Curitiba c’è da dire che è la città brasiliana più pulita, ordinata e organizzata (lo dicono gli stessi brasiliani). Mentre generalmente le città che avevo visto finora hanno delle periferie brutte, sporche e cadenti, Curitiba ha viali alberati, marciapiedi senza crepe e buchi, palazzine carine, eccetera. Non so se dipenda dal governo, dalla gente che ci abita o altro, ma ho avuto una dimostrazione di tolleranza zero che dà un’idea dell’atteggiamento diverso. Ero alla stazione dei pullman in attesa di un taxi e un tipo si è avvicinato in macchina per scaricare un passeggero. La vigilessa, dal volto teutonico, si è avvicinata al finestrino e deve avergli detto: se ti fermi ti multo, qui non si parcheggia. Il tipo se n’è andato senza dire A. In altre città del Brasile l’atteggiamento è molto più “mediterraneo”, per quanto riguarda queste infrazioni. Da Curitiba sono andato, sempre in pullman, a Florianopolis, ma purtroppo il tempo non mi è stato amico. Dei quattro giorni che ci ho passato, non ha piovuto solo per poche ore. La prima notte l’ho passata in un hotel moderno e attrezzatissimo (wi-fi, pay-tv, ecc) vicinissimo alla stazione dei pullman. Sono uscito per cena e sono andato al quartiere del vecchio mercato municipale. Ho avuto la fortuna di capitare nella giornata nazionale del samba, e nella piazza del mercato c’era uno spettacolo di samba all’aperto con una decina di gruppi che si sono succeduti sul palco. Il pubblico (Florianopolis è molto bianca, ma c’erano diversi afro-brasiliani) conosceva tutte le canzoni, parola per parola, e ballava e cantava, beveva birra e mangiava. Mi sono goduto lo spettacolo per un’ora, ho mangiato un panino e bevuto una birra e sono tornato in albergo. Il giorno dopo mi sono visto con un’amica della mia collega brasiliana alla SBS, che mi aveva dato i suoi contatti. Si chiama Marta, è di origine tedesca e fa l’architetto. Era con un amico-cliente neozelandese, Ian. Siamo andati a fare un giro verso Lagoa da Conceiçao, la parte turistica dell’isola (Florianopolis è su un’isola grande metà della Corsica con decine di spiagge bianche) e a mangiare (pesce). Poi Ian è andato via e Marta mi ha lasciato ad una pousada (pensione) a Lagoa da Conceiçao. I due giorni successivi li ho passati a guardare la televisione, perché ha piovuto quasi ininterrottamente… L’ultima sera siamo andati a cena insieme e c’era anche una coppia di suoi amici, Silvia, di Porto Alegre, lì per il weekend, e Mario. Per farla breve, Silvia mi ha invitato a casa sua a Porto Alegre, una tappa che pensavo di fare in fretta. Per finire la serata Marta ci ha portato tutti ad un locale sulla spiaggia dove c’era un gruppo di samba e choro che suonava dal vivo. Nel pubblico c’erano giovani e meno giovani. La cosa è che in Brasile anche i giovani apprezzano la “musica popolare”; in un certo senso samba e choro sono un po’ come tarantella e liscio, ma di giovani italiani che ballano questi stili non ne conosco. Ho bevuto una bella caipirinha e poi a nanna. Il giorno dopo sono arrivato a Porto Alegre, la grande città più a sud del Brasile, dove quasi tutti sono di origine tedesca o italiana (o Europa dell’est). I romanisti la conoscono come la città di Falcao, ma ci è nato anche Ronaldinho. Silvia, che vive col figlio 13enne molto preso dai videogiochi, è stata molto ospitale e io l’ho ripagata facendo una pasta al ragù alla bolognese da leccarsi i baffi. Ho anche scoperto, comprando gli ingredienti, che le erbe e le verdure in Brasile hanno nomi completamente diversi dai nostri. Ad esempio sedano si dice aipo, rosmarino alecrim, carota senoura, eccetera. Il giorno seguente ho fatto un tour della zona sud della città, la parte più bella, sulla riva del lago Guaiba, e la guida ci ha anche portato davanti all’entrata della casa di Ronaldinho. Dico entrata perché pare che la casa sia immensa e solo la guardiola del portiere è grande quanto una casa normale. Ho girato anche il centro storico. Porto Alegre è una città relativamente moderna, ma ha alcuni edifici con un’architettura interessante. Alle 21 partenza, sempre in pullman, per l’Uruguay, dove sono ora.
giovedì 2 dicembre 2010
Ciudad del Este - Paraguay
Foz do Iguaçu, in Brasile, e´al confine con Argentina e Paraguay, li divide il fiume Parana´. A Foz ci sono le famose cascate piu´spettacolari del mondo (posso confermare, guardate le foto su facebook) e l´Universita´ latino americana, dove lavora Andrea Ciacchi (per i non amicissimi, Andrea era al mio liceo di Roma, il Socrate, un anno avanti a me, e ora fa il professore di antropologia qui in Brasile). In Argentina siamo andati a pranzare, il paesino di Puerto Iguazu e´a pochi chilometri, si passa la frontiera con una certa tranquillita´. I brasilani vanno in Argentina per spendere di meno, fare il pieno di benzina e mangiare bene. In Paraguay, invece, ci vanno per fare la spesa. Ciudad del Este, seconda citta´del Paraguay, e´dall´altra parte del ponte sul Parana´, un ponte che si chiama dell´amicizia. In pratica sei in Brasile a Testaccio e sei in Paraguay a Porta Portese. L´esempio Porta Portese non e´causale. Ciudad del Este e´una sorta di Napoli del Sud America. Ci sono solo (nella parte che ho visto io, quella subito dopo il ponte) negozi, negozietti e negoziucci, bancarelle e venditori letteralmente ambulanti che ti vendono di tutto. Immaginate versioni un po´ squallide dei nostri centri commerciali (senza fontane, panchine, ampie sale, atri) circondate da bancarelle alla Porta Portese. Tutto questo per diversi isolati. Pare che sia porto franco, quindi per questo vendono cose altrove costose (cellulari, hi-fi, tv, ipod, ipad, computer, eccetera) a prezzi bassi per i brasiliani e gli argentini. Ma vendono anche le cose alla Porta Portese: cinte, calzini, mutande, cd e dvd fasulli, bigiotteria, aranciata-birra-coca e altro. Pensate che una ditta che fa prodotti hi-fi imitati si chiama... Napoli!!!! Purtroppo non ci sono le etichette coi prezzi, quindi uno deve contrattare e a me in realta´non serviva nulla, ero solo venuto a vedere, quindi non ho neanche chiesto i prezzi di ipod ecc. Non essendoci un posto per riposarsi o fare un break (almeno io non l´ho trovato) dopo due ore non ce la facevo piu´ di essere circondato da un caos portaportese/napoli/casbah e avvicinato da centinaia di venditori ambulanti, quindi ho preso un taxi e me ne sono tornato in albergo in Brasile. Sara´che ormai sto diventando australiano, ma queste situazioni di caos non le sopporto piu´.
Comunque questa situazione di ´´contrabbando legalizzato´´ determina il fatto che il ponte e´sempre intasato di gente che a piedi, in moto, in macchina, in pullman o in taxi va e viene dal Brasile per comprare roba. E, come mi ha spiegato Andrea, e´nato anche il fenomeno sociale dei sacoleiros (da sacola: borsa di plastica): e´gente che regolarmente compra roba in Paraguay e la rivende in Brasile ai limiti della legalita´. Perche´lo annoto? Perche´nel pullman che ho preso il giorno dopo per Curitiba, dove sono adesso, c´erano vari sacoleiros e la polizia fema sempre i pullman che vengono da Foz do Iguaçu. Quindi, come da copione, poco prima di Curitiba il pullman e´stato fermato e perquisito, sia nella stiva sia nell´abitacolo, da poliziotti armati fino ai denti, provocando un´ora di ritardo. In questa occasione non hanno trovato nulla di illegale. Comunque sono arrivato a Curitiba alle 11 di sera e ho trovato un alberghetto vicino alla stazione dei pullman: Hotel Roma... Tutto okay (20 euro) a parte il fatto che non c´era acqua calda e quindi per la prima volta in non so quanti anni (spiagge escluse) mi sono fatto la doccia fredda. Ora sono di nuovo alla stazione dei pullman e sto per prendere il pullman per Florianopolis, secondo i brasiliani la piu´bella localita´ di mare del sud del Brasile. Vedremo.
Comunque questa situazione di ´´contrabbando legalizzato´´ determina il fatto che il ponte e´sempre intasato di gente che a piedi, in moto, in macchina, in pullman o in taxi va e viene dal Brasile per comprare roba. E, come mi ha spiegato Andrea, e´nato anche il fenomeno sociale dei sacoleiros (da sacola: borsa di plastica): e´gente che regolarmente compra roba in Paraguay e la rivende in Brasile ai limiti della legalita´. Perche´lo annoto? Perche´nel pullman che ho preso il giorno dopo per Curitiba, dove sono adesso, c´erano vari sacoleiros e la polizia fema sempre i pullman che vengono da Foz do Iguaçu. Quindi, come da copione, poco prima di Curitiba il pullman e´stato fermato e perquisito, sia nella stiva sia nell´abitacolo, da poliziotti armati fino ai denti, provocando un´ora di ritardo. In questa occasione non hanno trovato nulla di illegale. Comunque sono arrivato a Curitiba alle 11 di sera e ho trovato un alberghetto vicino alla stazione dei pullman: Hotel Roma... Tutto okay (20 euro) a parte il fatto che non c´era acqua calda e quindi per la prima volta in non so quanti anni (spiagge escluse) mi sono fatto la doccia fredda. Ora sono di nuovo alla stazione dei pullman e sto per prendere il pullman per Florianopolis, secondo i brasiliani la piu´bella localita´ di mare del sud del Brasile. Vedremo.
domenica 28 novembre 2010
São Paulo
E’ una città immensa, quasi 20 milioni di abitanti. Chi crede che Roma, Londra o Sydney siano grandi città venga a São Paulo. Essendo cresciuta a dismisura negli ultimi 50 anni è caotica, senza un piano regolatore comprensibile, piena di condomini altissimi tipo alveari e altrettante favelas, che però, al contrario di Rio, sono invisibili a meno che uno non ci passi davanti e concentrate nella grande periferia. E’ ovviamente una città brasiliana ma anche una città italiana. L’emigrazione italiana, iniziata verso la fine dell’ottocento, è stata massiccia e la maggioranza assoluta della popolazione è di origine italiana, tanto che un ex governatore dello stato di São Paulo ha detto: se tutti gli italiani che vivono qui mettessero alla finestra la loro bandiera, dall’alto São Paulo sembrerebbe una città italiana. E questo si vede da tante cose: a parte la più ovvia, la cucina, anche i volti della gente, l’architettura di alcuni quartieri (sembra di stare a Roma), i nomi sui negozi, i nomi delle strade, dei giornalisti e personaggi televisivi e l’accento locale. I brasiliani dicono che il portoghese di São Paulo è molto influenzato dall’italiano, sia nella parlata, sia nel vocabolario (al telefono dicono “pronto” invece di “alò”, cazzo è una parolaccia diffusa, la “r” è quella italiana e non quella “francese” degli altri brasiliani, eccetera). Comunque non ci sono solo gli italiani: è pieno di giapponesi, giunti qui più meno nello stesso periodo degli italiani, siriani e libanesi, coreani e cinesi, ebrei, polacchi, tedeschi, spagnoli e ovviamente portoghesi e neri. E’ su un altopiano di 800 metri, quindi ha un clima completamente diverso da quello afoso di Rio. D’inverno pare che faccia addirittura freddo e piove molto in tutte le stagioni. C’è un traffico della Madonna. Ci sono diversi viali grandi, ma soprattutto al centro sono tutte stradine in salita/discesa tipo Monteverde a Roma. La città è comunque (apparentemente) ben servita da autobus e metropolitana e da una marea di taxi. Non c’è molto da vedere (São Paulo è a una settantina di km dalla costa, ha due fiumacci bruttarelli e non c’è mare, né monumenti di nota), ma per chi ha voglia c’è molto da fare: è veramente pieno di ristoranti, locali con musica dal vivo, musei, mostre, centri commerciali, cinema, teatri, eccetera. Oggi sono stato al Museo della lingua portoghese. Molto interessante: modernissimo, con audiovisivi e multimedia, pannelli luminosi e computer touch screen, spiega la storia della lingua dalle sue origini neolatine all’arrivo in Sud America e alla contaminazione con le lingue indigene, quelle degli schiavi africani e poi quelle degli emigranti (vedi italiano). Ananas, ad esempio, qui si dice abacaxi (pronunciato abacascì), parola indigena, bagunça (confusione) viene da una lingua africana, brachola inutile che lo dico, eccetera. Sono parole che nel portoghese di Lisbona non esistono. A São Paulo ho anche rivisto tre miei cugini coetanei del ramo che emigrò in Brasile da Cesena negli anni 1910 (Ricardo, Lincoln e Dante Lucchi) e stabilito il primo contatto con un altro ramo che ho conosciuto per caso quando un’altra cugina (Andréa Lucchi) mi ha trovato su facebook. Andrea è figlia di Aìlton Lucchi, che fra l’altro somiglia a mio padre, e pronipote di Celso Lucchi, un altro fratello di mio nonno di cui ignoravo l’esistenza. E’ stato divertente. Andréa mi ha invitato a vedere uno spettacolo di danza classica di cui lei curava la regia (è stata ballerina classica e coreografa) insieme alla sorella. Mi ha riconosciuto subito (per le foto su facebook, suppongo) e poi siamo andati a cena in una pizzeria (quelli di São Paulo sostengono di fare la miglior pizza del mondo - come quelli di New York e Buenos Aires, del resto, ma non se ne parla neanche). In pizzeria c’era praticamente tutta la famiglia. Aìlton parla il portoghese italianizzato del quartiere di Mooca, ma non l’italiano, come il resto della famiglia. Sono stati molto simpatici e gentili. E’ stato piacevole averli conosciuti e aver messo al suo posto un altro tassello dell’albero genealogico. Mi hanno anche raccontato alcuni retroscena divertenti della famiglia Lucchi in Brasile. A quanto pare tutti hanno fatto fortuna, mentre i Lucchi rimasti in Italia un po’ meno… Andréa, che non fa più la coreografa ma la psicologa (bel salto), viaggia molto e non è detto che non ci si riveda, magari in Italia o in Australia.
mercoledì 24 novembre 2010
Paraty e dintorni
Paraty. Innanzitutto una nota linguistico-ortografica: alcuni anni fa i paesi lusofoni, ovvero di lingua portoghese, hanno deciso di abolire dall’alfabeto e dalla grafia delle parole (straniere a parte) la ipsilon. In effetti, come la k e la w per noi italiani, la y ai lusofoni non serve. E’ rimasta solo in alcuni toponimi. Uno di questi è Paraty (pronunciato paracì). E’ una cittadina sulla costa a circa 200 km a sud di Rio, architettura coloniale portoghese ben conservata, case tutte con un massimo di due piani, isola pedonale (anche perché la pavimentazione è ancora quella originale, tipo Appia Antica, quindi spaccherebbe ruote e sospensioni), e una bella atmosfera. C’ero già stato la prima volta che venni in Brasile e volevo tornarci. Per arrivarci è stata un po’ un’odissea. Mi ero scordato di quanto fossero brutte le strade in Brasile. Siamo partiti da Rio alle 9 e per percorrere 200km abbiamo impiegato quattro ore. Non tanto per il traffico, che c’era solo per uscire dalla città, quanto per il sistema usato in Brasile per costringerti a rallentare. Invece dei semafori (ne abbiamo incontrati forse tre in 200km), qui usano i “quebra-molas”, letteralmente: spacca ammortizzatori. Funziona così: in prossimità di un centro abitato, di un attraversamento, di un incrocio - o semplicemente perché sì, ci sono dei dossi artificiali che se non rallenti a 5kmh ti rompono la macchina. Sono segnalati, sì, dovrebbero essere dipinti di giallo e nero, ma la manutenzione è carente, quindi molti sono invisibili e o inchiodi o spacchi tutto. Per questo l’amico che guidava andava a una media di 60 all’ora. Fondamentalmente se conosci la strada sei salvo, se non la conosci sono cavoli amari. Anche perché in 200km ne avremo incontrati più di 100. Guarda caso, spesso in prossimità dei quebra-molas ci sono carrozzieri e meccanici… Mentre sto scrivendo questo post sono sulla Rio-Sao Paulo che non ha quebra-molas ed è in buono stato, ma la Rio-Santos, che passa per Paraty, è pure piena di buche e ha un manto stradale che lascia un po’ a desiderare, per dirla con un eufemismo. Altra cosa: la benzina costa. Nonostante la Petrobras (l’ENI brasiliana) sia una delle più grandi aziende al mondo e qui ci siano giacimenti, la benzina costa quanto in Italia, con la differenza che gli stipendi qui sono molto più bassi. Comunque, superato il campo minato dei quebra-molas siamo arrivati a Paraty. Eravamo in cinque. Oltre a me, German e la moglie brasiliana Daniele, c’erano la sorella di Daniele, Elaine, e un amico colombiano ingegnere, Javier. Caldo umido e voglia di farsi il bagno, quindi ricerca immediata di un albergo (pousada). Essendo sabato non è stato facile. Comunque alla fine lo abbiamo trovato, anche abbastanza economico (20euro a persona). Alla sera siamo stati in un ristorantino coi tavoli di fuori dove abbiamo mangiato gamberi e pesce, innaffiati da birra e caipirinhas. Avevo capito che il cameriere/gestore aveva un accento italiano e infatti era un lucchese, sposato con una brasiliana (l’altra cameriera) in Brasile da dieci anni. Si lamentava dell’Italia e delle tasse e diceva che qui (in Brasile) si pagano meno imposte se hai un’impresa. Abbiamo fatto un giro del paese e poi io sono andato a dormire mentre gli altri sono andati a ballare forrò, una specie di liscio brasiliano.
Samba e altro
A Lapa, il quartiere dei locali musicali di Rio, ho scoperto (con colpevole ritardo) che sangue e cultura sono due cose completamente diverse. A volte coincidenti, ma – appunto – per coincidenza. Immagino che sociologi e antropologi lo scoprano sul primo libro di testo che leggono. Mi spiego: siamo andati, per l’appunto, a Lapa, una specie di Trastevere di Rio, strade strette di ciottoli e edifici relativamente antichi, all’ombra dei nuovi grattacieli di Rio Centro. E’ pieno di locali con musica dal vivo, alcuni per turisti, altri più autentici. E qui la musica dal vivo è samba, bossa nova o MPB (mùsica popular brasileira). Il locale era a tre piani, all’interno di una vecchia casa credo signorile, e su ogni piano c’era una banda che suonava. Al centro c’era una sorta di “lucernario”, in modo che affacciandosi si potevano vedere i due piani inferiori (comunque ho messo le foto su facebook). Secondo gli amici che erano con me i gruppi erano così così, ma a me, da profano, non sono dispiaciuti affatto. Anzi, dopo un paio di caipirinhas mi sono sembrati ottimi. Tornando alla “scoperta”, c’erano ragazzi e ragazze e gente meno giovane, sia bianchi che afro-brasiliani, che ogni tanto, quando c’era la canzone “giusta” si mettevano a ballare samba. E ballavano con tale naturalezza e abilità che mi è risultato ovvio che è una questione culturale, non (o non solo) di sangue. Nel senso che se sei cresciuto in quest’ambiente e questa cultura balli samba sia che tu sia bianco che nero. Che poi il samba sia stato portato in Brasile dagli schiavi africani è un altro discorso: oggi fa parte della cultura brasiliana tout court e anche se sei di origine italiana o tedesca, senza una goccia di sangue africano, lo “senti” e lo balli con la stessa “competenza”. Io comunque non ballo, né oggi né mai, quindi è solo una considerazione da osservatore del tutto distaccato.
giovedì 18 novembre 2010
La vista dalla casa di Daniele e German |
Ho notato che dall'ultima mia visita in Brasile (2005) i prezzi sono molto saliti. Ma oggi sul giornale c'era scritto anche che il governo alzerà il salario minimo, quindi credo sia il segnale che salgono i prezzi perché salgono gli stipendi e la gente può permettersi di spendere. Qui nel qurtiere di Leme http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Leme,+Rio+de+Janeiro,+Brasil&sll=41.442726,12.392578&sspn=9.252168,25.356445&ie=UTF8&hq=&hnear=Leme,+Rio+de+Janeiro,+Brasile&ll=-22.959974,-43.17112&spn=0.088831,0.198097&t=h&z=12 c'è un po' di tutto. Appartamenti di ricchi (mi dicono che si paga anche più di mille euro al mese per un appartamento buono, al che uno dice: come faranno a permetterselo - ma uno lo dice anche degli affitti di Roma), favelas sulla collina (vedi foto), signore eleganti con cagnolini pregiati e poveracci che vendono qualunque cosa su cassette di frutta. Avenida Nossa Senhora de Copacabana, la strada principale, è piena di: supermercati tipo Conad, giornalai, tabaccai, barbieri, agenzie di viaggi, negozi di abbigliamento non proprio di lusso, banche (quante banche) e mini-Trony. Devo dire che nessuno cammina con la paura di essere rapinato, ma devo aggiungere che ci sono guardie giurate armate un po' dappertutto. Stasera si va in un locale di musica dove pare si suoni samba.
Primo giorno a Rio de Janeiro
L'amico Fabrizio Pelliccioni (colgo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente) mi è venuto a prendere, puntualissimo, alle 5.15, siamo arrivati a Fiumicino alle sei meno un quarto e mi sono imbarcato sul volo British Airways come da copione alle 7.15. Poi, una volta tutti seduti e cinturati, la notiziaccia: all'aeroporto di Londra c'è nebbia quindi partiamo con almeno un'ora di ritardo (che poi sono diventate due). In effetti giunti a Londra non si vedeva niente. Visto che avevo la coincidenza per Rio alle 12, mi sono precipitato dall'altra parte del terminal per non perdere il volo. Anche lì stessa strategia della British Airways: tutti dentro l'aereo e poi la stessa notizia: c'è nebbia, quindi c'è la fila per partire, almeno un'ora di attesa (anche qui sono diventate due). Il problema stavolta è che c'era l'aria condizionata non a mille, ma a duemila (incomprensibile, visto che la temperatura a Londra era di otto gradi, boh...). Insomma, io ero seduto di fianco a una brasiliana che si è messa subito la coperta addosso per il freddo, ma se la brasiliana è comprensibile, c'era anche un gruppo di norvegesi con cappotti e sciarpe, perché l'aria condizionata era veramente assurdamente fredda e forte. Ho chiesto alla hostess: è proprio necessario avere l'aria condizionata a mille? Lei ha detto: vedrò quel che posso fare e ovviamente non ha fatto nulla. Morale della favola: già prima che l'aereo partisse io e metà dei passeggeri eravamo raffreddati, si sentivano sternuti e tosse da ogni parte dell'aereo, sembrava che fossimo in Antartide, tutti maglionati e con addosso le coperte. Finalmente alle due del pomeriggio siamo partiti. Durata effettiva del volo: 11 ore. Film visti: Iron Man 2 (voto 3 su 5); A-Team (2), Jonah Hex (2), The Other Guys (3). Cibo come sempre indefinibile, vino rosso argentino Malbec non male. Dovevamo arrivare alle 21.50 a Rio e il mio amico argentino German, il tastierista del mio gruppo in Australia, che ora vive qui con la moglie brasiliana Daniele, si era offerto di venirmi a prendere. Ho pensato: poveraccio, adesso sta già all'aeroporto e noi siamo ancora in volo sull'Atlantico. Siamo atterrati a mezzanotte meno un quarto. Poi il controllo passaporti: un'altra mezz'ora. Per fortuna che avevo solo bagaglio a mano, se no stavo ancora lì (poi, in uno dei prossimi post, illustrerò la mia politica del viaggiare il più leggero possibile, di bagaglio intendo). All'uscita dall'aeroporto c'era German, che poveraccio aspettava da due ore. Però si era portato un libro, quindi almeno ha avuto qualcosa da fare nell'attesa. Siamo andati subito ad un bancomat, perché in Italia non avevo trovato i Real (divisa brasiliana). Di dieci bancomat visitati, solo uno (ovviamente quello con la fila) mi ha dato i soldi. Gli altri o non riconoscevano la mia carta o dicevano che c'erano vaghi problemi. Usciamo, prendiamo un taxi e dopo mezz'ora arriviamo a casa di German e Daniele. Sta nel quartiere di Leme, praticamente a Copacabana, a una traversa dalla spiaggia. Concludo il primo post dicendo semplicemente che siamo andati a dormire alle 2 locali (che per me erano le 5, calcolando il fuso) e che ho dormito malissimo per colpa dell'ormai galoppante raffreddore. Intanto, fuori, pioveva.
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