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giovedì 21 aprile 2011




Dopo tre settimane di ozio assoluto sulla spiaggia di Màncora, in Perù, ho preso il pullman per Guayaquil, la più grande città dell’Ecuador. Fino alla frontiera, in territorio peruviano, il pullman era come gli altri finora presi, ovvero comodo, elegante, eccetera. Appena entrati in Ecuador è cambiato tutto: è diventato come un autobus urbano. Si fermava praticamente ad ogni paesino e ad ogni benzinaio, saliva e scendeva gente, si riempiva fino al punto che anche il corridoio era pieno di gente, l’autista aveva lo stereo a mille, tanto che ho dovuto chiedergli di abbassare un po’ il volume, perché non resistevo al casino. Per fortuna avevo il posto numerato e prenotato. La frontiera separa in due un paesino che in Perù si chiama Aguas Verdes e in Ecuador Huaquillas. E’ un caos totale: il pullman passa per una via dove c’è un mercato tipo Porta Portese, ma più in stile casbah, non ho ancora capito come abbia fatto a passare senza rovesciare i vari banchi del mercato.
Banane. E’ la prima cosa che si vede in Ecuador. La strada passa attraverso una infinita piantagione di banani, a sinistra e a destra e a perdita d’occhio. Credo che sia il primo paese produttore di banane al mondo. Dopo un centinaio di chilometri di piantagioni ho anche capito che fra nord Perù e sud Ecuador il clima cambia completamente. Se a Màncora era secco e senza piogge, a causa dell’influenza della corrente di Humboldt, che blocca l’evaporazione dell’acqua di mare, in Ecuador è umido e piovoso. Probabilmente anche per questo ci crescono le banane, che comunque hanno un sistema di irrigazione molto sofisticato: ogni pianta è su una sorta di minicollinetta circondata da un minifosso per l’irrigazione. Ogni pianta. Ne ho viste milioni, immagino che impresa sia metter su una piantagione di banane. E adesso che ci penso… Mi sa che in Ecuador non ho mai mangiato banane. Non mi è mai capitato. 
In Ecuador la moneta ufficiale è il dollaro americano. Nel senso che non c’è più una moneta locale: una decina di anni fa il governo, per ragioni economiche tipo inflazione, eccetera, ha deciso di abbandonare la valuta ecuadoriana e cominciare a usare il dollaro. Le banconote sono proprio le stesse che circolano negli USA, quelle con le facce dei presidenti, le monete sono sia quelle americane sia alcune ecuadoriane di identica dimensione e aspetto. Altra cosa “americana” sono le spine e le prese elettriche. Sono a 110 volt e fatte come quelle americane, mentre in Perù, Brasile, Uruguay e Cile sono come quelle italiane e in Argentina come quelle australiane. Quindi ho dovuto comprare l’ennesimo adattatore (ne ho quattro, credo). Al governo, invece, c’è un socialista seguace di Chavez (Venezuela) che si chiama Rafael Correa. E’ stato rieletto recentemente, e, per la prima volta nella storia democratica del paese, direttamente al primo turno. 
Verso le sette di sera sono arrivato a Guayaquil. E’ una grande città, di circa tre milioni di abitanti, sulla foce del fiume Guayas, un fiume immenso con vari bracci in vista dell’estuario. E’ famosa in Sud America perché qui si incontrarono nel 1822 Simon Bolìvar e il generale argentino José de San Martin, i due principali liberatori dalla potenza coloniale spagnola, e qui si strinsero la mano. Sul Malecòn (lungofiume) di Guayaquil c’è un monumento che celebra e descrive proprio questo incontro.
Che ci facevo a Guayaquil? Ci sono andato un po’ perché dopo tre settimane di ozio assoluto al mare in Perù qualcosa dovevo fare, un po’ perché ho pensato: sei quasi al confine con l’Ecuador, che fai, non vai a dare un’occhiata a questo paese? Un po’ perché avevo visto anni fa un documentario sulla città e sulle sue scalinate e lungofiume e un po’ perché da Guayaquil partono gli aerei per le Galàpagos.
Come quasi tutte le grandi città che ho visitato in Sud America, Guayaquil ha un centro città piacevole e una periferia orribile. Anzi, devo dire che il centro è più che piacevole. Apparentemente in passato la città era un ricettacolo di criminali e brutti ceffi ed era tutta orribile, ma le ultime amministrazioni comunali gli hanno dato una bella ripulita con opere di bonifica, ristrutturazione dei lungofiume, pulizia in generale e… polizia e guardie giurate ad ogni angolo. In ogni caso il Malecòn 2000, il lungofiume rinnovato, è molto bello, verde, con negozi e centri commerciali non invadenti, monumenti, attrazioni turistiche e una lunga passeggiata pedonale sul fiume. Poi è pulitissimo (squadre di spazzini passano in continuazione), è off-limits per i venditori ambulanti e ad ogni cento metri c’è un poliziotto o due di ronda. Il fiume Guayas è interessante. Nasce, credo, sulle Ande, e quando arriva a valle, in prossimità di Guayaquil, è tipo il Po moltiplicato per dieci. Nel senso che quello che passa per la città – e sarà largo sei, sette volte il Po – è solo uno dei bracci della foce, che in pratica occupa tutto il sudovest dell’Ecuador. E le maree dell’Oceano Pacifico lo influenzano in maniera (da me) mai vista. Quando sono arrivato sul lungofiume, verso l’ora di pranzo, la corrente andava da sinistra a destra, molto veloce, e il fiume era pieno di tronchi di alberi, rami e ramoscelli evidentemente “pescati” a monte. Ho fatto un po’ di foto. Poi sono entrato nel centro commerciale per mangiare e per coincidenza in TV, sul maxischermo, c’era Barcellona-Arsenal, che mi sono visto quasi per intero. Ho trovato anche un negozio di telefonia aperto (era martedì grasso: quasi tutto chiuso) e ho comprato la SIM card ecuadoriana e ho fatto altri giri sempre all’interno del centro commerciale. Quando sono uscito, almeno due ore e mezza dopo, e ho ripreso a camminare sul lungofiume, sono rimasto un po’ confuso: il fiume scorreva da destra a sinistra… Insomma, era cambiata la marea e quindi anche la direzione della corrente. Uno spettacolo. Essendo, come dice il nome del paese, all’equatore, fa buio presto e non c’è ora legale, quindi alle 18.30 sono tornato in albergo. Nei giorni successivi ho visto il centro coloniale, che è molto ben tenuto (recentemente restaurato), il Parque Bolìvar, dove per le aiuole circolano iguane giganti e tartarughe, la Escalinata del Cerro de Santa Ana, una scalinata di 456 gradini che dal livello del fiume porta alla collina più alta di Guayaquil con un’atmosfera ed edifici tipo cittadine dell’Umbria in collina (più o meno) che finisce su uno spiazzo dove c’è un faro e una chiesoletta con vista sulla città e ho fatto la vaccinazione contro la febbre gialla, che è consigliata per evitare brutte sorprese con zanzare ostili e ostinate (che vivono solo nella giungla, ma non si sa mai). Una sera il tipo dell’albergo mi ha chiesto: ma non vai alle Galàpagos? In genere chi viene a Guayaquil poi va alle Galàpagos. Io ho risposto: ho visto i prezzi e non credo di potermelo permettere. Lui ha detto: io ho fatto la guida alle Galàpagos per molti anni e ho tutti i contatti. Se ti interessa vedo se ti trovo un last-minute a un prezzo scontato. Okay, ho risposto, fammi sapere domattina, grazie. 
Ovviamente delle Galàpagos parleremo nel prossimo post…

sabato 26 febbraio 2011

Màncora, o gli ozi di Capua

Dopo 14mila km in macchina, fra Patagonia, Atacama e Arica, 7mila km in pullman e un volo (Santiago-Calama, Cile) sono arrivato a Màncora, una località di mare nel nord del Perù, vicino al confine con l’Equador. E ci sono rimasto due settimane. Perché? Credo di aver detto a tutti, prima di partire, qualcosa tipo “se Santiago non mi piace ci resto solo tre giorni, se invece trovo un posto di mare bello per riposarmi e fare vita di spiaggia, mi fermo anche un mese”. Detto fatto. 
Màncora in sé non è un granché, anzi: un villaggio di pescatori di 10mila persone, c’è un casino totale, ogni negozio, ristorante, bar e pub ha lo stereo acceso e alla sera i volumi e la musica si fondono in una cacofonia orribile, la spiaggia è piena di gente e sporca (per quanto riguarda l’immondizia, i sudamericani sono indietro di trent’anni rispetto a noi; ricordate quando le nostre spiagge erano piene di rifiuti? Non che ora siano pulite, ma rispetto a trent’anni fa qualche passo avanti lo abbiamo fatto). E’ pieno di venditori ambulanti, taxi-ape rumorosi e c’è un aria di caos diffuso. Però…
Però, a tre km di distanza a sud, c’è Las Pocitas: una spiaggia praticamente incontaminata di vari kilometri, con le palme, da cartolina, servita da una strada sterrata ridotta male, e quindi poco frequentata, con alcuni piccoli alberghi sulla spiaggia. L’ho “scoperta” nel corso di una passeggiata, mentre cercavo di allontanarmi dal rumore e dalla gente, pentito per aver dato retta a chi a Lima mi aveva detto di andare a Màncora. Màncora e Las Pocitas sono inferno e paradiso separati da tre km. Quindi, dopo i tre giorni che avevo prenotato all’hotel a Màncora, ciao ciao, taxi-ape e hotel a Las Pocitas, bungalow sul mare, 50 dollari a notte, paradiso. Il rumore del mare è molto forte, più che altro perché le onde sbattono sulla scogliera ogni dieci secondi, e c’è una minicatena montuosa che segue la spiaggia che amplifica, ma il rumore del mare è 10mila volte meglio del rumore di qualunque altra cosa. Essendo sull’Oceano Pacifico, tutte le sere c’è il tramonto sul mare, con colori spettacolari. Dopo i tre mesi precedenti, passati a macinare km, questo ozio di Capua mi ci voleva proprio. Anche per aggiornare il blog, per dormire fino a tardi (in genere alle 10 devi lasciare la stanza, qui invece non metto proprio la sveglia), per fare un primo bilancio del viaggio, leggere, ascoltare musica, insomma: riposarmi, che secondo me è sempre uno degli scopi di ogni vacanza.
Poi arriveranno Ecuador, (forse) Isole Galàpagos, Amazzonia, eccetera. Ma ora si ozia.

venerdì 11 febbraio 2011

Gli autobus e i taxi di Lima, Perù

Prendere un autobus a Lima è un'avventura. Ma è un'esperienza da fare. Oggi sono stato in centro (l'ostello è sulla costa, nel quartiere "chic" di Miraflores). A Lima, ne sono certo, ci sono più taxi che auto private. Pare che chiunque faccia come secondo il lavoro il tassista. A parte alcune storie tipo che sali sul taxi e il tassista ti porta in un vicolo e ti rapina - a me non è ovviamente mai successo - quando fermi il taxi dici al tipo dove vai, quello ti dice un prezzo e tu rispondi sì o no. In pratica contratti il prezzo prima di entrare. Se non ti va bene chiedi al prossimo - c'è sempre la fila di taxi, ovunque.

Gli autobus invece sono di varie dimensioni, da quelle di un Ford Transit a quelle di un autobus normale. In quelli piccoli ci stipano fino a 20 persone, in quelli grandi il triplo. Costano pochissimo (500 lire) e vanno dappertutto. Come per i taxi, ce ne sono a migliaia, di varie compagnie private, anzi credo che ognuno dei piccoli sia un'impresa individuale. Dentro c'è ovviamente l'autista, che ha sempre lo stereo accesso a mille di volume con musica latina tipo salsa, e il bigliettaio in piedi, che ad ogni fermata (e si fermano ogni 50 metri) esce dalla porta e grida l'itinerario. Sul mio, ad esempio, "Arequipa, todo Arequipa, Tacna, Wilson." Fa salire chi vuole salire, e poi, quando l'autobus è già in corsa, rientra al volo. Quindi c'è il rumore esterno dei clacson, l'autista con lo stereo a manetta e il bigliettaio che strilla a ogni pie' sospinto (letteralmente). Ah, i clacson. Come dicevo, è pieno di taxi, i quali procedono lentamente quando sono vuoti e appena vedono qualcuno che sembra potrebbe avere bisogno di un taxi fanno due colpi di clacson o alla sera fanno i due colpetti e abbagliano. Quindi potete immaginare il casino. E poi sugli autobus entrano e escono regolarmente venditori ambulanti che hanno di tutto, dalle gomme americane ai fazzolettini, ai prodotti di artigianato, ai gelati.
C'è da aggiungere che tutti guidano come pazzi, le strisce pedonali contano meno che in Italia, è un miracolo che non ci sia un incidente ogni cinque secondi. Insomma, un'esperienza, come dicevo, da fare, ma non troppo spesso...

martedì 8 febbraio 2011

Parole e frasi utili (spero)

Allora, questo potrebbe servire a chi viaggerà in Sud America (lo aggiornerò pian piano). Ogni paese ha i suoi modi di dire, il suo accento e la sua cadenza, ma anche le sue parole e regole grammaticali distinte. Per esempio, in Argentina, Uruguay e altrove non si dice tú, ma vos. E cambia anche la coniugazione:


  • "Tu parli" (seconda persona singolare, discorso informale)
Spagnolo iberico - tú hablas
Argentina, Paraguay e America Centrale - vos hablás
Uruguay - vos hablás, tú hablás
Cile - tú hablas, tú hablái, vos hablái
Colombia - usted habla, tú hablas, vos hablás
Puerto Rico - tú hablas (pronunciato come nella Spagna meridionale)
Messico - tú hablas, vos hablás (Chiapas soltanto)
Venezuela e spagnolo arcaico formale singolare - vos habláis, tú habláis, vos hablás
Ecuador - tú hablas, vos hablás
Ladino formale - vos avláis
Perù (discorso ufficiale) - tú hablas, usted habla, vos habláis/hablás

Tratto da:
http://it.wikipedia.org/wiki/Dialetti_spagnoli

Benzina si dice gasolina in Brasile, nafta in Uruguay e Argentina, bencina in Cile e Perù (altrove ancora non lo so).
Alquilar è affittare quasi ovunque, ma in Cile si dice arrendar e in Perù rentar.
Lleno è il pieno di benzina.
Pasta si dice pasta, ma più spesso massa (Brasile) e fideo nei paesi ispanici.
Agua sin gas è naturale, con gas è gassata.
Una stanza singola in albergo è individual o simples.
Ripio vuol dire ghiaia, ma anche strada sterrata (questo l'ho imparato molto bene in Patagonia e nel deserto...).
Nei cartelli di stop non c'è scritto Stop ma Pare (fermati).
Limite vuol dire frontiera.
Benzinaio è Posto de gasolina in Brasile e Estacion de servicio o Servicentro altrove.
Autoservicio non è un meccanico (come ho capito dopo aver guardato dentro le vetrine), ma supermercato self-service.
Birra si dice cerveza (cerveja in Brasile), ma in Uruguay e Argentina si può dire anche birra.
Tè è té (cha in Brasile).
Colazione è café da manha (o semplicemente café) in Brasile e desayuno altrove.
Pranzo è almoço in Brasile e almuerzo altrove.
Cena è jantar in Brasile e cena altrove.
Propina vuol dire mancia nei paesi ispanici, ma propina vuol dire "mazzetta" in Brasile, dove mancia si dice invece gorjeta.
Il conto è la cuenta (isp) e a conta (Bra).
Cameriere è mozo o camarero (isp) e moço (Bra).
Ovunque usano diminutivi "alla romana". Cerveja diventa sempre cervezinha (come birretta), foto-fotita, perro-perrito, gato-gatinho, ecc.
Inversion non vuol dire inversione, ma investimento.
Diversion non è diversione, ma divertimento.
Anche quando uno non ti conosce, inizia sempre e comunque con hola, buenas tardes, o simili. Non esiste: dov'è la spiaggia? Sempre: hola, buenas tardes, donde queda la playa?)
A proposito di playa: in Argentina e Uruguay non è vamos a la playa, ma vamos a la plagia o plascia!

I pullman



In Sud America, da quello che ho visto, i pullman si dividono in due categorie: quelli da poveracci (ovvero vecchi, economici, pieni, per percorsi generalmente brevi) e quelli per chi può spendere di più. Fortunatamente ho quasi sempre preso i secondi. Li ho trovati in tutti i paesi dove sono stato finora (Brasile, Uruguay, Argentina, Cile, Perù). Ovviamente costano il triplo di quelli normali, ma ne vale la pena. Sono comunque prezzi superaccessibili per euopei (da Tacna a Lima 1200km 30 euro). Da fuori sono normali, dentro invece sono un po’ come gli aerei, anzi come gli aerei in business class: i sedili sono reclinabili tipo letto (infatti li chiamano “leito” in Brasile e “cama” altrove), sono abbastanza distanti l’uno dall’altro, c’è bagno, tv con dvd, radio, servizio gratuito di vettovaglie e bibite e a volte anche wifi. Insomma, per i viaggi lunghi, come quello che sto facendo adesso (una ventina di ore) sono l’ideale. Fra l’altro ho notato che (credo per legge) gli autisti devono essere due, per darsi il cambio quando sono stanchi. Ogni tanto, poi, si fermano in qualche benzinaio, quindi si può uscire per sgranchirsi le gambe, comprarsi qualcosa, eccetera. Sono un’alternativa agli aerei: sono molto meno costosi e si può vedere il paese vero.

giovedì 20 gennaio 2011

La gomma a terra e Sierra de las Quijadas

Oggi ho bucato una ruota. Mi è andata benissimo: invece di succedermi mentre stavo sull’autostrada, magari ad alta velocità (statisticamente, quando fai 12mila km, una foratura ci sta), mi è successo mentre stavo in albergo a dormire, a Uspallata, sulle Ande. Mi sono alzato e sono andato subito a fare benzina. Il benzinaio mi ha detto: guarda che hai una gomma a terra. Ho chiesto dov’era il gommista e mi ha risposto: lì, a 100 metri. In realtà più che un gommista era una casa di campagna diroccata con due tipi seduti che giocavano a carte. Ho chiesto: è qui il gommista? Sì, senor, però noi facciamo solo camion. Vediamo un po’. Ah, sì, d’accordo, la possiamo fare, non ci sono problemi. Il tipo mi ha chiesto di dove fossi e quando gli ho risposto che ero italiano ha detto: ah, anche qui a Uspallata c’è un italiano, Renato, che ha una fattoria ecologica.
La mia fortuna è stata che, mentre il collega riparava la gomma (causa della foratura: un chiodo), ho tirato fuori la carta geografica e ho chiesto all’altro tipo che itinerario fare per andare a Cordoba. Il tipo si è illuminato d’immenso, per così dire, e per tutto il tempo che l’altro riparava mi ha indicato i percorsi più pittoreschi da fare. Ha detto: io appena posso prendo la macchina e vado in giro per queste zone. Devi andare qui, qui e qui. C’è da fare un pezzo di sterrato, ma si può fare. Nel frattempo l’altro ha finito con la gomma, me l’ha lavata, pulita e rimontata e mi ha chiesto… 15 pesos (tre euro). No, ho detto io, non è il prezzo giusto. Io di pesos te ne do 30 (sei euro). Anche perché poi le indicazioni e i consigli sull’itinerario si sono rivelati preziosissimi. Invece che tornare a Mendoza e poi dirigermi a Cordoba, come pensavo, ho preso quindi la strada per Villa Vicencio, una minuscola località termale sulle Ande. Strada è un complimento. Dopo tre o quattro chilometri da Uspallata niente più asfalto e sterrato di sassi. Fin qui niente di nuovo (di 12mila km, almeno mille li ho fatti su strade non asfaltate - di varie qualità). Sono passato in posti stupendi con vista sulle Ande unica e anche davanti al monumento a Darwin, passato da qui, un monumento in mezzo al nulla. Arrivato ad un certo punto è iniziata una discesa spettacolare dalla cima della montagna alla valle di Villa Vicencio. Una meraviglia. Con un piccolo particolare. La pendenza era del 10% in discesa e lo stato della strada era pietoso. Essendo una strada di montagna era tutte curve a gomito, e a ogni curva dovevo andare al massimo a 20kmh anche perché la carreggiata era piena di sassi: alcuni piccoli, altri immensi, pietre delle dimensioni di una lavatrice. Tutti caduti dalla montagna, ovviamente, e altrettanto ovviamente nessuno fa la manutenzione, o si fa quando si ricordano. Anche perché non è che ci passino molte persone da questa strada. Avrò incontrato una dozzina di macchine nei 40 km fatti, perché c’è un’alternativa, passare da Mendoza, ma la strada è normale, quindi molto meno panoramica e avventurosa. Ho visto anche dei guanaco per la strada, un po’ meno timidi di quelli visti nella Patagonia del sud, e ho sentito per la prima volta il loro verso: nitriscono, un po’ come i cavalli.
La prossima cosa da vedere, secondo i consigli del gommista, era il Parque Nacional Sierra de las Quijadas, nella vicina provincia di San Luis. Ho dato un’occhiata alla mappa e ho calcolato che in paio d’ore ci potevo arrivare. Avevo fatto però i conti senza l’oste. O meglio senza la pessima (quasi assente) segnaletica e il fatto che nel navigatore i parchi nazionali non ci sono (e vicino al parco non c’è nessuna città). Morale della favola, dopo aver sbagliato strada due volte sono arrivato finalmente davanti all’entrata del parco nazionale che era quasi buio, pensando: vabbe’, chiedo un po’ di informazioni, mi trovo da dormire e poi domattina ci torno con calma. Mentre entravo, usciva in moto uno dei ranger che mi ha fermato, come per dire: ma dove a va a quest’ora? Gli ho detto: guardi sono venuto solo per avere informazioni, so che è tardi, torno domani. Il ranger ha risposto: sì, ora è chiuso, non c’è nessuno, ma se entri adesso che è il tramonto fai delle belle foto. Sei chilometri di sterrato e c’è il punto panoramico. Detto fatto. Ho percorso i sei chilometri di sterrato e sono arrivato al punto panoramico. Che posto! Sembra un po’ il gran canyon e un po’ le parti settentrionali del Kimberley in Western Australia. Ma anche diverso, sudamericano, ovviamente. Sembra un immenso cratere, non so, di 30-40 km di diametro, forse è un ex cratere vulcanico, e secondo il depliant una volta era terra di dinosauri, come del resto tutta l’Argentina. E c’era un laghetto, che ormai si è prosciugato, ma che ogni volta che piove di brutto si riforma in parte nella conca centrale. Ci vivono guanaco, mara (una specie di leprotti selvatici), vari piccoli rettili e tartarughe di una specie locale molto rara. Oltre a uccelli di ogni tipo. Alberi poco o nulla, soprattutto cespugli e macchia bassa. Colori dominanti: ocra, rosso, giallo (come da foto su facebook). Inutile dire che ho fatto un po’ di foto al tramonto ma ho deciso di tornare il giorno dopo. Problemino: qui intorno non c’è nulla, solo minuscoli paesini di campagna fatti da quattro case, cinque se va bene. Alternative per dormire (sempre secondo il ranger): Lujan, 100km a nord e San Luis, 100km a sud. Visto che venivo da nord, ho deciso di andare a San Luis, che essendo anche la capitale provinciale offriva maggiori opzioni. Dopo un’ora sono arrivato (saranno state le dieci e mezza) e ho trovato una stanza al “Gran Hotel Espana” per una quarantina di euro. Con parcheggio custodito, colazione, internet e pay-tv. DI fronte c’era un ristorante coi tavolini fuori, ci sono andato alle 11.15, era ancora pieno, anzi, c’era gente che veniva – per mangiare – anche a mezzanotte. Ho mangiato una discreta pizza napoletana. La mattina dopo dovevo passare a un bancomat (San Luis non è male come città, avrà un 200mila abitanti e qualche edificio interessante, oltre alla classica piazza coi giardini pubblici in centro, con la statua del fondatore, la fontana, ma questa volta anche una targa dedicata ai desaparecidos, descritti giustamente come vittime del terrorismo di stato) e quando ho finalmente trovato parcheggio davanti alla banca è venuto un tipo che mi ha detto: maestro (“maestro” è usato qui come “dottore” è usato da noi dai posteggiatori), laviamo la macchina? In effetti faceva abbastanza schifo, dopo tutta la polvere accumulata nelle varie strade non asfaltate fatte. Quanto mi costa? 15 pesos (3 euro). OK, ci vediamo fra 20 minuti, vado in banca e poi a fare la spesa. Quando sono tornato la macchina non la riconoscevo, sul serio! Tutta bella pulita e lavata, pure le ruote, da marrone terra era tornata verde. Gli ho dato venti pesos, lui tutto contento! Sono quindi tornato al parco nazionale, dove ho fatto diversi percorsi a piedi, altre foto e vista la bellezza del posto mi sono messo a sentire l’ipod come colonna sonora per corredare con audio l’esperienza visiva. Pat Metheny, album “Secret Story”. Perfetto. Un film.

mercoledì 12 gennaio 2011

Annotazioni e considerazioni

Innanzitutto due considerazioni. Mi piace viaggiare e il Sud America è un continente. Ovvio? Fino a un certo punto. Mi piace viaggiare nel senso proprio del viaggio, dello stare in macchina e fermarmi in posti che mi sorprendono, che mi attizzano, che non mi aspettavo.  O invece proseguire di corsa perché voglio arrivare al più presto possibile alla prossima destinazione. Altra cosa è il viaggio in treno o in aereo, dove le variabili sono molto poche. Come diceva Neil Peart dei Rush nella canzone “Anything Can Happen”: The point of the journey is not to arrive, ovvero: lo scopo del viaggio non è arrivare. E Il Sud America è un continente come l’Europa o l’Asia. Cambia quasi ad ogni chilometro. Cambiano gli accenti della gente, la morfologia del territorio, il cibo, le tradizioni, il fuso orario, la qualità delle strade e dei bagni, i prezzi, le parole, il clima, i volti della gente. Cambia tutto. Proprio come cambia tutto da Palermo a Helsinki. Dopo aver percorso quasi diecimila chilometri in macchina in Argentina, posso dire che anche all’interno dello stesso paese cambiano molte cose. A Buenos Aires è come a Roma: grande città, bella città, arroganza, fretta, stress, tutti a parlare al cellulare, traffico, musei, strade larghe, negozi, teatri, cinema, McDonalds, caos, l’accento portegno, che è praticamente l’equivalente del romanesco. Oggi invece sono a Bardas Blancas, un paesino di (forse) 100 persone, sulle Ande. Accento diverso, quasi “messicano”, tranquillità, cortesia, lentezza, un solo ristorante e un solo “albergo”, niente internet, niente copertura del cellulare, niente da fare o da vedere – a parte la natura: le montagne, il fiume, il bosco, il tramonto, il rumore del vento.
Parliamo dei bagni: a Buenos Aires no, ma in molte parti del Sud America, per motivi che non ho chiari, la rete fognaria non gestisce la carta igienica. Il che vuol dire che di fianco alla tazza c’è un cestino dove va messa la carta igienica. Che schifo! Succede anche nelle case “signorili”. Ad esempio nella casa della brasiliana dove sono stato ospite a Porto Alegre, che è forse la città più attrezzata del Brasile. Lei è architetto, vive in un quartiere “ricco”, eppure anche lì c’è il cestino. La conseguenza, se si mette la carta nella tazza, è che si intasa e ti torna tutto su. E’ successo nell’ostello in Uruguay dove sono stato. Nel bagno femminile qualche straniera deve essersene dimenticata e puf, allagamento totale di acqua, carta igienica e stronzi.
I benzinai. I benzinai sono come i nostri autogrill, ma più piccoli. Sono soprattutto due marche: YPF (l’Agip argentina) e Petrobras (l’Agip brasiliana). Parentesi: la super costa circa 80 centesimi di euro, poco per noi, tanto per loro, che guadagnano molto meno di noi. Hanno tutti un negozietto che vende di tutto, dalle forbici ai panini, dalle carte geografiche alla coca cola, dai biscotti alla birra, dalle sigarette ai CD. E quasi tutti hanno wifi. Diverse volte mi sono fermato con la macchina davanti a un benzinaio e mi sono collegato a internet senza problemi. Hanno ovviamente anche bagni, ma spesso senza carta igienica (mi sono attrezzato). C’è una cosa che non capisco: spesso ho visto file chilometriche per fare benzina, come da noi quando si annuncia lo sciopero dei benzinai. O addirittura stazioni di servizio chiuse per mancanza di benzina. Il paradosso è che l’Argentina ha benzina, in Patagonia ci sono diversi giacimenti di petrolio. Ho visto nella città di Comodoro Rivadavia, sulla costa patagonica, raffinerie a pieno regime nel porto e a 500 metri di distanza benzinai senza benzina. E’ chiaro che c’è un problema di gestione e di organizzazione. Forse ha a che fare col fatto che qui tutto funziona coi camion. I treni non esistono quasi più. Mi è stato detto che gli americani hanno spinto i governi sudamericani a passare al trasporto su ruota – i camion – a svantaggio dei treni. Risultato: oggi non ci sono più treni - come forse qualcuno ha visto nelle foto che ho messo su facebook le ferrovie sono abbandonate. E visto che tutti i trasporti di carburante sono su camion, evidentemente se il camion non arriva puntuale o se c’è un po’ di domanda di carburante in più (magari perché è estate e ci sono più turisti) il sistema va a puttane.
I “santuari”. Ne ho visti a migliaia, di tutte le dimensioni. Per la strada, ogni tanto, ci sono delle cose tipo cucce di cani, con drappi rossi, immagini votive e cose del genere. Vanno da dimensioni cuccia di cane a dimensioni tipo cappella elaborata. Pare che siano dei “per grazia ricevuta” o posti per mini-pellegrinaggi. La cosa buffa è che spesso sono corredati di decine di bottiglie di acqua minerale o coca-cola o sprite piene. Come se si volesse lasciare da bere al “santo”. Credo che sia una cosa degli indigeni, che sono stati cristianizzati ma che ovviamente, come succede in questi casi, hanno sovrapposto la religione cattolica al loro paganesimo. Indagherò.