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giovedì 21 aprile 2011




Dopo tre settimane di ozio assoluto sulla spiaggia di Màncora, in Perù, ho preso il pullman per Guayaquil, la più grande città dell’Ecuador. Fino alla frontiera, in territorio peruviano, il pullman era come gli altri finora presi, ovvero comodo, elegante, eccetera. Appena entrati in Ecuador è cambiato tutto: è diventato come un autobus urbano. Si fermava praticamente ad ogni paesino e ad ogni benzinaio, saliva e scendeva gente, si riempiva fino al punto che anche il corridoio era pieno di gente, l’autista aveva lo stereo a mille, tanto che ho dovuto chiedergli di abbassare un po’ il volume, perché non resistevo al casino. Per fortuna avevo il posto numerato e prenotato. La frontiera separa in due un paesino che in Perù si chiama Aguas Verdes e in Ecuador Huaquillas. E’ un caos totale: il pullman passa per una via dove c’è un mercato tipo Porta Portese, ma più in stile casbah, non ho ancora capito come abbia fatto a passare senza rovesciare i vari banchi del mercato.
Banane. E’ la prima cosa che si vede in Ecuador. La strada passa attraverso una infinita piantagione di banani, a sinistra e a destra e a perdita d’occhio. Credo che sia il primo paese produttore di banane al mondo. Dopo un centinaio di chilometri di piantagioni ho anche capito che fra nord Perù e sud Ecuador il clima cambia completamente. Se a Màncora era secco e senza piogge, a causa dell’influenza della corrente di Humboldt, che blocca l’evaporazione dell’acqua di mare, in Ecuador è umido e piovoso. Probabilmente anche per questo ci crescono le banane, che comunque hanno un sistema di irrigazione molto sofisticato: ogni pianta è su una sorta di minicollinetta circondata da un minifosso per l’irrigazione. Ogni pianta. Ne ho viste milioni, immagino che impresa sia metter su una piantagione di banane. E adesso che ci penso… Mi sa che in Ecuador non ho mai mangiato banane. Non mi è mai capitato. 
In Ecuador la moneta ufficiale è il dollaro americano. Nel senso che non c’è più una moneta locale: una decina di anni fa il governo, per ragioni economiche tipo inflazione, eccetera, ha deciso di abbandonare la valuta ecuadoriana e cominciare a usare il dollaro. Le banconote sono proprio le stesse che circolano negli USA, quelle con le facce dei presidenti, le monete sono sia quelle americane sia alcune ecuadoriane di identica dimensione e aspetto. Altra cosa “americana” sono le spine e le prese elettriche. Sono a 110 volt e fatte come quelle americane, mentre in Perù, Brasile, Uruguay e Cile sono come quelle italiane e in Argentina come quelle australiane. Quindi ho dovuto comprare l’ennesimo adattatore (ne ho quattro, credo). Al governo, invece, c’è un socialista seguace di Chavez (Venezuela) che si chiama Rafael Correa. E’ stato rieletto recentemente, e, per la prima volta nella storia democratica del paese, direttamente al primo turno. 
Verso le sette di sera sono arrivato a Guayaquil. E’ una grande città, di circa tre milioni di abitanti, sulla foce del fiume Guayas, un fiume immenso con vari bracci in vista dell’estuario. E’ famosa in Sud America perché qui si incontrarono nel 1822 Simon Bolìvar e il generale argentino José de San Martin, i due principali liberatori dalla potenza coloniale spagnola, e qui si strinsero la mano. Sul Malecòn (lungofiume) di Guayaquil c’è un monumento che celebra e descrive proprio questo incontro.
Che ci facevo a Guayaquil? Ci sono andato un po’ perché dopo tre settimane di ozio assoluto al mare in Perù qualcosa dovevo fare, un po’ perché ho pensato: sei quasi al confine con l’Ecuador, che fai, non vai a dare un’occhiata a questo paese? Un po’ perché avevo visto anni fa un documentario sulla città e sulle sue scalinate e lungofiume e un po’ perché da Guayaquil partono gli aerei per le Galàpagos.
Come quasi tutte le grandi città che ho visitato in Sud America, Guayaquil ha un centro città piacevole e una periferia orribile. Anzi, devo dire che il centro è più che piacevole. Apparentemente in passato la città era un ricettacolo di criminali e brutti ceffi ed era tutta orribile, ma le ultime amministrazioni comunali gli hanno dato una bella ripulita con opere di bonifica, ristrutturazione dei lungofiume, pulizia in generale e… polizia e guardie giurate ad ogni angolo. In ogni caso il Malecòn 2000, il lungofiume rinnovato, è molto bello, verde, con negozi e centri commerciali non invadenti, monumenti, attrazioni turistiche e una lunga passeggiata pedonale sul fiume. Poi è pulitissimo (squadre di spazzini passano in continuazione), è off-limits per i venditori ambulanti e ad ogni cento metri c’è un poliziotto o due di ronda. Il fiume Guayas è interessante. Nasce, credo, sulle Ande, e quando arriva a valle, in prossimità di Guayaquil, è tipo il Po moltiplicato per dieci. Nel senso che quello che passa per la città – e sarà largo sei, sette volte il Po – è solo uno dei bracci della foce, che in pratica occupa tutto il sudovest dell’Ecuador. E le maree dell’Oceano Pacifico lo influenzano in maniera (da me) mai vista. Quando sono arrivato sul lungofiume, verso l’ora di pranzo, la corrente andava da sinistra a destra, molto veloce, e il fiume era pieno di tronchi di alberi, rami e ramoscelli evidentemente “pescati” a monte. Ho fatto un po’ di foto. Poi sono entrato nel centro commerciale per mangiare e per coincidenza in TV, sul maxischermo, c’era Barcellona-Arsenal, che mi sono visto quasi per intero. Ho trovato anche un negozio di telefonia aperto (era martedì grasso: quasi tutto chiuso) e ho comprato la SIM card ecuadoriana e ho fatto altri giri sempre all’interno del centro commerciale. Quando sono uscito, almeno due ore e mezza dopo, e ho ripreso a camminare sul lungofiume, sono rimasto un po’ confuso: il fiume scorreva da destra a sinistra… Insomma, era cambiata la marea e quindi anche la direzione della corrente. Uno spettacolo. Essendo, come dice il nome del paese, all’equatore, fa buio presto e non c’è ora legale, quindi alle 18.30 sono tornato in albergo. Nei giorni successivi ho visto il centro coloniale, che è molto ben tenuto (recentemente restaurato), il Parque Bolìvar, dove per le aiuole circolano iguane giganti e tartarughe, la Escalinata del Cerro de Santa Ana, una scalinata di 456 gradini che dal livello del fiume porta alla collina più alta di Guayaquil con un’atmosfera ed edifici tipo cittadine dell’Umbria in collina (più o meno) che finisce su uno spiazzo dove c’è un faro e una chiesoletta con vista sulla città e ho fatto la vaccinazione contro la febbre gialla, che è consigliata per evitare brutte sorprese con zanzare ostili e ostinate (che vivono solo nella giungla, ma non si sa mai). Una sera il tipo dell’albergo mi ha chiesto: ma non vai alle Galàpagos? In genere chi viene a Guayaquil poi va alle Galàpagos. Io ho risposto: ho visto i prezzi e non credo di potermelo permettere. Lui ha detto: io ho fatto la guida alle Galàpagos per molti anni e ho tutti i contatti. Se ti interessa vedo se ti trovo un last-minute a un prezzo scontato. Okay, ho risposto, fammi sapere domattina, grazie. 
Ovviamente delle Galàpagos parleremo nel prossimo post…